Scusa se ti "scavalco", Val...
Ok, ora tocca a me! :-3
(Ero indecisa se fare una fanfic o una storia con personaggi originali... alla fine ha prevalso la seconda.
E tendo a chiarire una cosa: so che i nomi suoneranno familiari, ma i personaggi e il contesto sono una mia creazione.)
Rating: giallo
Genere: Alternate Universe (ovvero, ambientato in un mondo parallelo al nostro)
Nomi dei protagonisti: Alphonse e Vossler
"Perdonatemi, se sono ancora vivo."
Distruzione.
Desolazione.
Silenzio.
Questo regnava in quello che appariva come un campo di battaglia.
Alberi bruciati, spade e lance insanguinate sul terreno fangoso, cadaveri in armatura giacenti a terra… un perfetto scenario di guerra.
Il cielo era grigio e il sole era coperto da nuvole. Non si intravedeva nemmeno uno spiraglio.
O forse uno sì, ma molto flebile.
Un raggio debole colpì un elmo, o meglio, gli occhi all’interno di quell’elmo.
Bastò per far reagire un soldato. Era immobile, sul fango; solo Dio sapeva da quanto tempo non si muoveva.
Respirava a malapena, a causa della pesante armatura che pesava sul suo petto e della cinghia che gli stringeva la gola. Sentiva un dolore lancinante al fianco: aveva una freccia conficcata ivi. La ferita stava sanguinando, lordando quella parte dell’armatura e creando una piccola pozzanghera di sangue, mescolato al fango e all’acqua della pioggia.
Non riusciva a muoversi. La sua ora era vicina.
Ma quel raggio… no, non poteva ancora morire.
Tremando, mosse una mano. La ferita lo aveva reso debole, ma lottò per non perdere i sensi.
Riuscì a togliersi il pesante guanto di ferro, per poi cercare la cinghia del suo elmo.
A fatica, lottando contro il suo dolore, riuscì a scioglierla. Tolse l’elmo, respirando più affannosamente e più profondamente, come se avesse trattenuto il fiato a lungo. Respirò l’aria, come fosse un nettare divino che gli aveva appena ridonato la vita.
Rimosse persino il cappuccio di cotta di maglia, liberando i lunghi capelli biondi e far assaporare l’aria anche a loro, per un’ultima volta.
Il volto leggermente quadrato era contuso e sporco di terra.
Gli occhi erano rivolti verso quell’unico spiraglio di sole che si scorgeva tra le nuvole grigie.
La sua mente fu percorsa da innumerevoli pensieri, ricordi recenti e lontani.
La sua vita.
La figura dominante di quei pensieri era un ragazzo.
La persona a cui teneva di più.
Suo fratello Vossler. Di quattro anni più piccolo di lui.
In comune avevano il naso leggermente a punta, gli occhi scuri e un neo vicino alle labbra.
Avevano entrambi perso i genitori durante la peste, quando erano piccoli.
Erano poveri, mendicavano per strada per soldi o avanzi di cibo, sopportavano con dolore le frasi umilianti dei nobili che li maltrattavano, dando loro un calcio invece che cibo, soprattutto al minore.
-Perdonatemi, se sono ancora vivo.- soleva dire Vossler, come risposta. Voleva solo la morte, niente più.
Alphonse non poteva vederlo in quello stato, nemmeno sentire quelle orribili parole.
Erano soli contro il mondo intero. Avevano solo l’un l’altro per consolarsi.
Avrebbe fatto qualsiasi cosa per garantire al fratello minore un futuro migliore.
L’occasione, infatti, arrivò con un annuncio: il re stava cercando nuovi soldati per il suo esercito, dai vent’anni in su, includendo anche i mendicanti, per combattere contro l’esercito nemico.
La guerra aveva portato la popolazione germanica alla povertà. Se avessero vinto ci sarebbe stata finalmente la pace, quindi un’opportunità di ricominciare una nuova vita.
Alphonse non ci pensò due volte ad arruolarsi: non gli importava se, durante il conflitto, avesse perso la vita; a lui importava solo del futuro di Vossler, anche se ciò avrebbe portato al suo sacrificio.
Per salvarlo, avrebbe fatto questo e altro.
Ma il ragazzo non era d’accordo. A lui bastava solo stare insieme ad Alphonse per essere felice, a prescindere dalla condizione in cui vivevano. Protestò per la scelta del fratello, ma non riuscì a fargli cambiare idea.
Arrivò il giorno della partenza dei militi per il campo di battaglia.
Erano tutti di fronte alla chiesa, con le armature addosso, in ginocchio, per ricevere la benedizione del vescovo.
Vossler, facendosi strada tra la folla, si avvicinò alla prima schiera capitatogli sotto gli occhi e urlò: -AL!-
Il citato si voltò. Poi, si alzò e andò incontro al ragazzo, per poi prenderlo tra le sue braccia, e stringerlo a sé.
Sembrava un eroe delle leggende agli occhi del fratello minore.
Questi piangeva, bagnando la pettiera dell’armatura.
-Non mi lasciare, Al…- mormorò Vossler, singhiozzando –Se dovessi morire, io… io…-
Una mano confortevole gli accarezzò i capelli corvini. Con l’altra si alzò la visiera dell’elmo: anche Alphonse stava piangendo. Era per lui, dopotutto, che voleva combattere.
-Non temere, fratellino…- mormorò, dolcemente –Qualunque cosa accadrà, niente mi separerà da te.-
Lo baciò sulla fronte, prima di abbassare nuovamente la visiera e riunirsi con gli altri cavalieri.
Vossler non smise un solo istante di osservare il fratello allontanarsi, ancora in lacrime, provando orgoglio e paura insieme.
Nessuno dei due immaginava che sarebbe stato il loro ultimo giorno insieme.
-Voss…ler…-
Il suono del suo nome era molto fievole.
Un nuovo dolore nacque nel cuore di Alphonse, persino peggio di quello che stava provando a causa delle ferite da guerra.
Delle lacrime stavano scendendo sulle sue guance, rimuovendo della terra, seppur parzialmente, accompagnate da dei singhiozzi.
Non sapeva se avevano vinto la guerra o meno. Era partito con la speranza di vincere.
Ma quando era entrato nel campo di battaglia e vide l’esercito nemico… il suo orgoglio e la sua sicurezza svanirono quasi all’istante.
La tentazione di scappare era forte. Tuttavia, pensò a suo fratello, e la sua mano strinse con decisione l’impugnatura della sua spada.
“Cosa ne sarà di lui…?” pensò, senza smettere di piangere.
La sua ora si stava avvicinando. Sentiva le palpebre pesanti, avvertendo una strana sensazione di stanchezza. Ma se avesse chiuso gli occhi, non si sarebbe mai più svegliato.
Continuò a piangere: era consapevole del suo fallimento. Non era riuscito a salvare Vossler, forse nemmeno la sua patria, e ciò aumentò il suo dolore.
Non era divenuto l’eroe che suo fratello credeva fosse.
Lo aveva condannato alla solitudine, un male persino peggiore della morte.
Non gli restava niente da fare, ormai, per salvarlo.
Ciò che poteva fare, tuttavia, era congiungere le mani in preghiera, rivolgere lo sguardo al cielo, in particolare a quell’unico spiraglio di luce che lo stava illuminando, e pregare.
Ma più che una preghiera, era un canto.
Un requiem.
Te ne prego, Signore,
non portarmi via!
Ho bisogno di lui
E lui ha bisogno di me!
Fa’ che possa rinascere
Come sua guida
Cosicché possiamo
Restare insieme!
Il raggio di sole divenne sempre più luminoso, accecandolo.
Un respiro.
Dei suoni melodiosi, delle campane che stavano suonando per lui.
Un altro respiro.
Il pianto di un neonato.
Un altro respiro.
L’immagine di Vossler, mentre sorrideva.
L’ultimo respiro.
Gli occhi si chiusero, lasciando spazio ad un lieve sorriso.
Vossler avrebbe atteso anche per l’eternità il ritorno di Alphonse.
Dal giorno della sua partenza, era rimasto di fronte alla chiesa, continuando a mendicare.
I frati e persino i passanti gli chiedevano di andarsene, perché stava profanando un luogo divino, ma lui si rifiutava.
Non faceva del male a nessuno. Era lì, in silenzio, avvolto in un mantello di lana sgualcito e lacero, lo stesso che aveva sempre diviso col fratello, quando faceva freddo e quando andavano a dormire.
Il mantello era suo, ormai; era caldo, ma lui sentiva ugualmente freddo, persino più di quando se lo toglieva.
Gli mancava Alphonse. Gli mancava il calore del suo corpo. La sua partenza aveva lasciato un enorme vuoto nel suo cuore. Era come se una parte di sé fosse partita insieme a lui.
Poi, un giorno, tra la nebbia, scorse qualcosa.
Erano i soldati del re. Erano tornati!
E se loro erano tornati, anche Alphonse era tornato.
Questo era ciò che Vossler stava pensando, sorridendo dopo un tempo apparentemente infinto.
Alcuni erano corsi ad abbracciare i loro cari.
Il ragazzo si mise lì in mezzo, ancora con il sorriso sulle labbra.
-Al? Alphonse?- chiamava, guardandosi in giro.
Il numero dei soldati era notevolmente diminuito da quando li aveva visti partire.
-Al?-
Non lo aveva ancora trovato. Ma non si perse d’animo.
Tuttavia, qualcosa fece tremare il suo cuore di timore: due carri, con delle persone sopra.
Erano i caduti in battaglia.
Dei braccianti li stavano caricando su delle barelle di legno, coprendo i loro corpi con delle lenzuola.
C’era un uomo in mezzo ai due carri. Indossava un’armatura pesante. Forse era un capitano, pensò Vossler.
Un po’ intimorito al suo cospetto, si avvicinò a lui.
-Ehm… perdonate…-
L’uomo si voltò, con aria tra l’indifferente e l’infastidita.
I gelidi occhi verdi incussero terrore al ragazzo. Anche il volto dai tratti duri, con delle folte basette bionde che ne percorrevano i contorni dalle tempie alla mandibola.
-Cosa c’è?- disse, con sgarbo –Sono impegnato con i nostri caduti.-
Vossler si schiarì la voce.
-Perdonate, sto cercando mio fratello.-
-Tuo fratello? Il suo nome?-
-Alphonse.-
-Alphonse e basta? Niente cognome?-
-No, signore…-
-Descrivimelo.-
-Capelli biondi, occhi scuri e… sì, un neo proprio qui, dove l’ho anch’io.-
L’uomo cambiò improvvisamente espressione: da severo e infastidito divenne stupito e allarmato nello stesso tempo.
-Quindi… tu sei Vossler?-
Il ragazzo alzò le sopracciglia, sorpreso.
-Sì, sono io.-
-Alphonse parlava sempre di te. Di un fratello più piccolo di quattro anni. Non immaginavo di vederti. Non in questa situazione…-
Quell’ultima frase fece crescere ancor più il gelo nel suo stomaco e lo fece impallidire. Ma non perse la speranza.
-Ditemi… lui dov’è?- domandò, tremando sia per il freddo che per la paura.
L’uomo si morse il labbro inferiore; poi si voltò, avvicinandosi ad uno dei due uomini vicino ad un carro.
Gli aveva detto qualcosa, a giudicare dal cenno con la testa che fece l’altro.
Vossler, in cuor suo, conosceva la realtà, ma sperò. Sperò che la sua sensazione fosse errata.
Ma quando una barella gli fu portata…
Il respiro sembrò mancargli e un senso di vuoto lo pervase.
Il telo fu scostato, rivelando un volto sorridente nella morte.
-E’ lui?-
Il crollo.
Il ragazzo si abbandonò sulle sue gambe, nascondendo il proprio volto tra le mani, piangendo e urlando con tutto il dolore che aveva nel cuore.
Alphonse.
Era tornato, come aveva promesso. Ma morto.
-Perché?! PERCHE’?!- urlò Vossler, mentre a stento si rialzava per abbracciare il corpo defunto del fratello e riempiendo il volto di baci, labbra comprese. Baci che questi non avrebbe mai sentito.
Non sentì la mano del capitano toccargli i capelli con delicatezza.
-Mi dispiace, ragazzo…- gli mormorò, sospirando –Tuo fratello è morto per salvarti la vita.-
Ma Vossler non lo aveva udito: il dolore lo aveva reso sordo, forse anche cieco.
Non voleva vedere altro che il volto del fratello.
Lo bagnò con le sue lacrime.
-Ora sono solo…- singhiozzò –Dovevo andare con lui… Saremmo morti insieme…-
-No, Alphonse non lo voleva.-
Vossler si voltò verso l’uomo: lo stava osservando con aria severa, senza rimuovere la mano dalla sua testa.
-Continuava a dire di voler combattere non per la sua terra, ma per te. Per fare in modo che il suo sacrificio comportasse una vita migliore per te. Non rendere il suo gesto vano.-
Prima che partisse aveva detto che niente li avrebbe separati.
Ma poteva il loro amore superare la morte?
Vossler non ne era più sicuro, ormai.
Con l’amarezza nel cuore, gli tornarono in mente tutti i bei momenti passati con il fratello: le fredde notti d’inverno, abbracciati nel mantello di lana, i rari bagni al fiume assieme, le leggende che ascoltavano ogni volta che sostavano sotto la finestra di una casa…
Eventi che non si sarebbero più ripetuti.
Vossler era rimasto solo. Che senso aveva per lui vivere?
Chiese che il corpo di Alphonse venisse seppellito nei pressi di un albero, un luogo molto caro a entrambi i fratelli: quando non giravano per le strade urbane per mendicare, era lì il loro rifugio.
Non mancavano fiori freschi sulla tomba.
Se solo Alphonse avesse saputo cosa accadde in seguito…
Le condizioni del fratello non migliorarono: il lutto lo aveva fatto cadere nella depressione, non sentiva più la fame, piangeva in continuazione, ogni giorno agognava la morte. Ma qualcosa lo tratteneva dal farlo.
Ma cosa?
Anche la condizione urbana non cambiò, anzi. Non fece altro che peggiorare.
Altri contadini venivano arruolati nell’esercito del re, e tutti tornavano defunti.
Vossler, di tanto in tanto, si recava nel villaggio, osservando con orrore e disperazione tutti quei carri di cadaveri.
Tuttavia, qualcosa non tornava: gli unici soldati defunti erano contadini. Tra i sopravvissuti, il ragazzo aveva riconosciuto gli stessi uomini che, il giorno del ritorno di Alphonse, avevano abbracciato i propri cari.
Nessuna ferita. Nessuna scalfittura sull’armatura. Solo sangue sulle spade.
Persino il capitano era completamente illeso.
E tutti erano di origine nobile.
Non poteva essere una coincidenza.
Dopo un mese dalla morte del fratello, mentre stava mendicando per strada, da dietro il muretto dove si era seduto udì involontariamente due guardie che stavano parlando tra di loro, e finalmente capì: non c’era nessuna guerra. Non c’era nessun nemico da combattere.
Il re si era reso conto che la popolazione stava aumentando, ma tutti vivevano in povertà. Non era sicuro se per evitare una possibile rivoluzione o per non essere costretto a sfamare più bocche, ma aveva trovato un modo per diminuire la popolazione. Quale modo migliore se non con una guerra? Ma non una guerra contro un nemico.
I sopravvissuti… i veri soldati dell’esercito… erano loro i nemici. Gli elmi impedivano la visuale dei contadini-soldati, altrimenti avrebbero riconosciuto a prima vista le armature con lo stemma reale.
Approfittavano della loro scarsa preparazione bellica per ucciderli facilmente.
I contadini… erano stati trattati come animali da macello. No, peggio. Come sacrifici per una divinità.
E il dio, in quel caso, era il re, che aveva avviato un vero e proprio sterminio interno.
Alphonse… Vossler non poté credere che fosse stato una creatura da sacrificare per un bene inutile.
Non gli importava degli altri contadini: gli importava solo di suo fratello.
Tornato all’albero dove questi era stato seppellito, strinse un pugno, colmo di ira. Per poco non uscì il sangue, da quelle mani già piene di graffi per il freddo invernale.
Aveva finalmente trovato uno scopo per continuare a vivere.
Fece una promessa a se stesso: da quel giorno si sarebbe impegnato a vendicare suo fratello, prendendo in cambio la vita del re, avesse dovuto sterminare l’intero esercito reale.
Alle sue spalle, in un punto un po’ nascosto, un lupo dal particolare manto color grano lo osservava in silenzio, esprimendo premura dai suoi occhi scuri…
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Note finali: non so in quanti di voi stanno leggendo "I Misteri del Principe: Il Pedone" (che un giorno continuerò, promesso), ma avete presente il ragazzo di nome Mauritius, un po' volgare e decisamente irruento? Vossler è il suo antenato, il precursore della sua famiglia.
Edited by I.H.V.E. - 22/10/2017, 22:34