| | Ok ragazzi, dopo un'avventura durata un anno e poco piu' white e Lis sono giunte al termine di questa fanfiction! E' stato molto impegnativo partecipare, ma ci siamo divertite e teniamo molto a questa storia, che speriamo vi abbia dato le sesse mozioni che ha dato noi nello scriverla! Postiamo ora il dodicesimo capitolo, in cui, lo dico subito per non essere accusata di plagio, e' presente una citazione alle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George R.R. Martin. Buona lettura!!
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Capitolo XII - Fire and Blood
Migliaia. Forse un milione. Le piccole creature nere si riversarono dalle pendici della collina su di loro. La grande energia che era esplosa qualche attimo prima, quando i cieli erano sembrati pronti ad aprirsi e a liberare su di loro tutta la loro furia, fu il segnale d’attacco. Gli Heartless erano rimasti ai margini del campo per tutta la durata dello scontro, ma in quell’istante liberarono tutta la loro forza, e la prima cosa che trovarono nella loro gigantesca onda nera fu l’esercito di Autozam. I soldati umani, più intenti a guardare il cielo che a occuparsi delle piccole creature, trasformarono in pochi attimi i loro gridi di battaglia in urla di dolore. In pochi istanti un intero battaglione fu sommerso dalla massa oscura, che si propagò tra le principali unità dell’esercito come dita da una mano. Dall’alto della sua posizione, Baan sentì i propri cuori tremare. L’energia magica liberata sulla sommità di quella collina lo aveva lasciato senza fiato, ma era nulla se paragonato alla scena che si svolgeva sotto i suoi occhi. Le raffiche al plasma dei soldati umani sembravano piccole punture sulla mano di un gigante. I colpi esplodevano in mezzo agli Heartless con migliaia di scintille, ma le creature continuavano ad avanzare. Quelle che venivano colpite lasciavano flebili buchi in quell’ondata, ma l’attimo dopo altri, nuovi Heartless prendevano forma e continuavano ad avanzare. Gli uomini che venivano sommersi dai piccoli esseri si piegavano su loro stessi, perdevano la loro forma e l’attimo dopo diventavano Heartless a loro volta e si univano a quella schiera che non sembrava avere altro obiettivo che cercare, distruggere e divorare. Tempo addietro lui e Nehellenia avevano avuto la possibilità di esaminare un paio di quelle creature, ma quando avevano compreso che trovavano forza nell’oscurità dei cuori non avevano mai immaginato uno spettacolo dilagante di tale orrore. Era la stessa guerra che li alimentava. La guerra, e l’odio tra di noi. I comandanti degli umani persero qualsiasi interesse nei suoi confronti: un paio di capitani, riconoscibili dal loro mantello vedere, gridarono negli altoparlanti degli ordini in codice fatti di numeri, cifre e poi altri numeri. Prima che potesse comprenderne il significato, Baan vide scaturire tra i fumi della battaglia diverse decine di velivoli corazzati che si recarono a gran velocità contro la massa di Heartless. Una sequenza di strani missili metallici fu sganciata in quella direzione, ma oltre al rumore non sortirono alcun effetto oltre a quello di agitare ulteriormente la massa avversaria, che rispose a quell’attacco riversandosi tutta verso il centro dell’esercito; si abbatterono sulla prima torretta come una squadra di formiche, e in pochi attimi la macchina fu ricoperta di nero. Un paio di quei mostri saltarono dalla torre e atterrarono su uno speeder, facendolo precipitare tra i ranghi degli umani: già nel panico, le truppe si dispersero in modo disordinato, e dove i soldati cadevano si rialzavano presto degli Heartless diretti al cuore di coloro con cui stavano combattendo fino a pochi attimi prima. Baan vide una mano protendersi verso di lui prima di essere travolta. Sarebbe rimasto a contemplare quella scena di distruzione per altri minuti se Pai non fosse comparso al suo fianco, con un’espressione di gioia selvaggia dipinta sul suo viso: “Gli uomini stanno pagando per tutto quello che ci hanno fatto, Grande Satana. Vengono consumati dal loro stesso odio. È la giusta punizione per questa razza vile”. “Credi davvero che il loro odio sia tanto diverso dal nostro, Pai?” gli disse, cercando di scacciare dalla sua testa le grida di paura che emergevano sotto di lui “Credi che avrebbero risparmiato me, o te, o uno qualsiasi dei nostri soldati se non fossimo stati quassù in alto, oltre la loro portata?” “Se possiamo volare e salvarci da loro vuol dire che la nostra razza è superiore, Grande Satana. Questi mostri ci stanno offrendo la vittoria nel fuoco e nel sangue. E, quando tutto sarà terminato, spazzeremo via anche loro con la potenza dei nostri incantesimi”. “Ne sei così sicuro, Pai?” Un cannone al plasma gigantesco, grande quanto il cortile del loro palazzo, si fece strada tra i soldati semplici, schiacciandone alcuni sotto le sue ruote; si fermò nel punto più alto dell’esercito, e si accese di una serie di luci verdi e gialle mentre lungo la sua superficie si aprì uno sportello rotondo e ne uscì un grande tubo ad impulsi che il sovrano dei demoni aveva visto usare il giorno prima, contro l’esercito dei licantropi. Tra le grida di esultanza degli uomini di Autozam l’oggetto fu attraversato da varie scariche elettriche di diverso colore, poi un unico, enorme fascio di energia fu sparato al centro dell’orda nera: vibrante del potere del plasma, il raggio illuminò per qualche secondo il campo di battaglia e fendette la schiera di Heartless in due parti nette, disegnando una linea chiara tra le creature. Ma l’effetto fu di breve durata. Baan non fece in tempo ad esultare dal fondo dei suoi cuori che quello squarcio si richiuse di nuovo per i piccoli mostri che continuavano a premere da ogni parte, e prima ancora che gli uomini potessero tirare un respiro di sollievo gli Heartless si riunirono in un ultimo, poderoso assalto e puntarono contro il cannone incuranti delle tenui difese degli esseri umani. Il piccolo scudo energetico intorno all’arma non resse nemmeno un paio di minuti, e la sua forma fu completamente inglobata da quello sciame nero, i cui piccoli occhi gialli non facevano che moltiplicarli senza sosta. Era anche il loro terribile, efficace silenzio a sgomentare il sovrano dei demoni. Gli umani gridavano e si agitavano, ma dove il loro esercito era stato ricoperto dall’oscurità brulicante non rimaneva altro che il soffio del vento e di qualche sparo isolato. “Si ritirano” osservò Pai. Nonostante la soddisfazione delle sue parole, i suoi occhi non riuscivano a nascondere una vena di preoccupazione, specie quando si voltavano verso la strana collina dove, ormai, regnava il silenzio più assoluto. “E noi dovremmo fare altrettanto. Qui non c’è più nulla da vincere. Dai ordine a tutti i demoni di allontanarsi di qui e di non avvicinarsi agli Heartless per alcun motivo”. Fuoco e sangue. Il motto del casato di Pai. Avevano ottenuto entrambe le cose, eppure non trovava alcun piacere in quella vittoria. Gli uomini erano stati sconfitti, senza dubbio, ma era stata la loro stessa avidità a soggiogarli. L’odio dei loro cuori, la cupidigia, il disprezzo, erano stati quelli i fuochi che avevano illuminato il sentiero per gli Heartless. Non era stato il valore della famiglia demoniaca, né i tanto esaltati ideali di Pai. E dall’alto i corpi dei loro eserciti giacevano allo stesso modo nel terreno; era impossibile riconoscerli. Il loro sangue aveva lo stesso colore. Chiuse gli occhi ed immaginò Nehellenia, con la sua meravigliosa cascata di capelli blu, fluttuare accanto a lui, chiedendosi cosa ne avrebbe pensato di quel tipo di vittoria. Cosa avrebbe detto. Quale lezione avrebbe insegnato alla famiglia demoniaca. Di certo la minaccia degli Heartless non sarebbe terminata lì. Quell’esercito scuro, che ormai aveva ridotto al silenzio quasi tutto il campo di Autozam, non avrebbe tardato a spostarsi alla ricerca di nuovi cuori luminosi da divorare. Non sarebbero svaniti nel nulla ad un suo schioccare di dita. Muovendosi verso sud, avrebbero impiegato solo qualche giorno prima di raggiungere la periferia di Autozam; ma verso nord, quando ormai la foresta dei licantropi era stata quasi distrutta, non avrebbero impiegato troppo tempo a raggiungere alcuni insediamenti demoniaci. E lui era lì, in bilico tra i due mondi, senza la più pallida idea di come comportarsi. L’unica certezza era che davanti a quella silenziosa minaccia tutti i loro schieramenti erano impotenti, ed anche la magia demoniaca sarebbe riuscita a fare ben poco per bloccarli. Incapace di guardare o ascoltare oltre, fluttuò verso il punto in cui si stavano radunando i resti delle sue truppe. Non erano nemmeno la metà di coloro che, quella stessa mattina, avevano gridato “Fuoco e sangue” al seguito di Pai. Tutti fissavano la massa di Heartless. Pochi, però, riuscivano ad assaporare la vittoria. L’energia sprigionata sulla collina li aveva lasciati sgomenti e stanchi, e dei demoni maggiori che avevano animato la battaglia rimanevano soltanto lui e Pai. Nei loro occhi vi era la stessa stanchezza che doveva essere riflessa nei propri; i suoi attendenti volarono ai suoi fianchi, ed in un attimo sulle sue spalle fu apposto un manto regale, e per effetto dei rapidi incantesimi di vento i suoi capelli tornarono in perfetto ordine. Meno di un migliaio di demoni lo fissava, aspettando una sua frase, una parola di conforto o, più semplicemente, un ordine da eseguire: privi dei loro capi casato, molti giovani demoni minori si guardavano l’un l’altro alla ricerca di qualcuno che trovasse loro un senso a quella scena di oscurità. Cercò a fondo le parole; scavò nella sua mente, e provò a dar loro forma nonostante la lingua impastata. Ma fu Pai a parlare per lui. “Gli umani hanno pagato per la loro cupidigia. È stata la loro brama di potere a risvegliare quelle creature oscure! Noi li avevamo persino avvertiti dall’alto della nostra saggezza, ma loro hanno preferito dare ascolto all’avidità e quello è il risultato!” disse, puntando con forza un dito verso il campo di battaglia ormai silenzioso. “Dovete essere fieri di essere demoni! Tutti, nessuno escluso! Se siamo ancora vivi è perché i nostri cuori sono saldi, e la magia è dalla nostra parte. Abbiamo affrontato gli uomini, e non c’è motivo per cui non dovremmo sconfiggere quelle creature malvagie; alcuni dei nostri compagni sono caduti per concederci questa vittoria, e dobbiamo essere orgogliosi di loro, delle nostre famiglie, del nostro Grande Satana e del nostro onore!” I demoni minori annuirono, gli sguardi ora fissi su di lui. “Il Grande Satana è fiero di voi! E quando torneremo a casa saremo tutti degli eroi! Gli umani possono mandarci contro centinaia, migliaia di soldati e Heartless, ma la vittoria sarà sempre nelle nostre mani, come potete vedere ora, con i vostri occhi!” Pai … complimenti … Come fai a trovare sempre le parole giuste? I nostri ruoli dovrebbero essere invertiti. Tu sei un protagonista. Io una spalla. I soldati si strinsero uno all’altro, con una nuova espressione sui volti. La prospettiva di tornare a casa e di ottenere la gloria meritata era il primo raggio di sole dopo quella battaglia. Sapeva che era quello il discorso che avrebbe dovuto fare, ma le parole a cui stava pensando non erano convincenti come quelle dell’altro demone maggiore. Ma erano ormai diversi giorni che aveva accettato quella realtà. Fu nell’entusiasmo generale, in mezzo alle grida di giubilo, che un giovane demone messaggero si fece largo nella sua direzione, proveniente da sud. Non ci volle molto a capire il motivo della sua espressione affranta, e Baan ne approfittò dell’attenzione rivolta su Pai per prenderlo da parte. Il suo sesto senso raramente si sbagliava. “Grande Satana …” fece il nuovo arrivato, rosso in viso per lo sforzo “… per fortuna … riesco … ad avvisarla! Autozam … Autozam …” “Parla, ti prego!” gli disse, appoggiandogli le mani sulle spalle. “Autozam … ha sganciato delle testate nucleari … non le solite … sono tante, e potrebbero davvero … davvero …” Baan lasciò che il calore dei suoi incantesimi di guarigione rinfrancasse il messaggero “Che tipo di testate?” “Che potrebbero … DISTRUGGERE L’INTERA PHAREN!” gridò, con le pupille dilatate “GRANDE SATANA, DEVE FARE QUALCOSA! NON SAPPIAMO QUANTO TEMPO MANCHI ALL’IMPATTO! DOV’E IL CAVALIERE DEL DRAGO?” Darei uno dei miei cuori per saperlo … “Sei sicuro di quello che stai dicendo?” L’altro non rispose, ma l’espressione terrorizzata parlava da sola. Nessun demone minore avrebbe osato rivolgersi a lui in quel modo poco cerimonioso se non fosse stato certo di quella situazione; assunse l’aspetto più regale che conoscesse, accennò un “Provvederò. Hai fatto bene il tuo dovere”, e si allontanò dall’esercito quanto più in fretta poté, certo che nessuno si sarebbe mai permesso di inseguirlo. Gli ci vollero diversi istanti per assimilare la notizia. Per comprendere se fosse vera o solo il frutto della sua mente stanca per la battaglia. Ma l’attendente non era un sogno, e la minaccia al mondo che conosceva ed amava era una realtà più solida della terra, che lo osservava dal basso devastata e spoglia per il conflitto appena terminato. Sopra di lui il cielo era cupo. Non vi era ancora traccia delle testate nucleari, ma sapeva che potevano viaggiare a velocità elevata, e se il loro obiettivo era raggiungere il cuore di Pharen, la capitale, sarebbero potute persino passare sulle loro teste. Il loro regno non era grande come quello degli uomini, ma allo stesso tempo non riusciva ad immaginare una quantità di energia, tecnologica, alchemica o magica, in grado di distruggere un territorio di quelle dimensioni in un’unica emissione. Un’arma capace di trasformare in polvere il mondo che Nehellenia aveva tanto amato. Cosa avresti fatto? Lei non sarebbe giunta a quel punto. Ne era certo. Avrebbe impedito con tutte le sue forze una battaglia aperta tra umani e demoni. Cosa che lui, con i suoi tentennamenti, non era stato in grado di fare. Il tuo regno non doveva finire nelle mie mani. Cercò di trovare il bandolo di quella matassa, ma il filo della sua ragione si smarriva nella paura delle testate nucleari e nel timore che ad ogni attimo avrebbe potuto vedere le gigantesche masse metalliche all’orizzonte. I suoi poteri non gli avrebbero permesso di contrastarle: l’ultimo bombardamento avrebbe polverizzato l’intera capitale di Pharen se il Cavaliere del Drago non fosse intervenuto, ma anche in quei secondi di panico non riusciva a scorgere in cielo l’incoraggiante sagoma di Lady Nova. Qualcosa era accaduto alla dea, ne era più che certo, ma in quel momento non poteva permettersi il lusso di fare affidamento su qualcuno che non sarebbe potuto giungere; cercò con rapidità ogni soluzione, logica o folle. Ed una la trovò. Dove fino a poco prima vi era stato l’esercito di Autozam in rotta, in quel momento vi era solo una landa desolata, e gli stessi Heartless avevano abbandonato quel luogo privo di forme di vita da depredare, scivolando silenziosi verso sud. La grande piana era un lungo terreno bruno, dove la guerra, gli incantesimi e le macchine avevano distrutto in una manciata di giorni quello che la natura aveva impiegato millenni ad erigere, e della monumentale foresta di Tasseyo non restavano che dei ceppi anneriti dal fumo. Ma era enorme, si perdeva a vista d’occhio, ed era quello di cui aveva bisogno. Si innalzò ancora di diversi metri, a livello delle nuvole, e dopo un ultimo sguardo alla collina silenziosa iniziò a chiamare a sé tutti i suoi poteri. Non fu facile. La sua mente era ancora annebbiata, l’energia magica di cui era imbevuta quella terra era stata sfruttata e colpita dal suo stesso esercito per tutta la durata della battaglia e rispondeva incerta al suo volere. L’aria turbinò e lo avvolse, sollevando il pesante abito blu e lasciandolo fluttuare su quello spettacolo di distruzione. Gli sembrava di percepire ancora le grida di battaglia, e mentre chiudeva gli occhi e si abbandonava a quella sensazione poteva udire dentro la sua testa le urla di morte e paura dei soldati. Il vento rispose, elettrizzato dai residui delle scariche al plasma, poi convogliò le correnti nelle sue mani. Baan aprì tutto se stesso alla magia, ed i suoi cuori iniziarono a battere più forte, sincronizzando tutto il corpo ad accogliere il massiccio flusso di energia. L’energia si fece sempre più intensa, e più riusciva ad accumularne dentro di sé, più Baan prendeva conoscenza e sicurezza del proprio potenziale magico: durante l’attacco sferrato insieme a Pai aveva sentito cosa volesse dire essere un demone maggiore al massimo del proprio potere, ma in quegli attimi poteva ascoltare il flusso magico di Cephiro non come un demone qualsiasi, ma come un Grande Satana. Si concentrò ancora di più, ed al suo corpo iniziò ad accorrere un’intera corrente di magia, un flusso che originava dai suoi stessi sottoposti; li ringraziò mentalmente dell’energia che prendeva in prestito, assorbì prima quella dei più giovani, poi quella dei veterani, quella antica e latente dei pochi arcivescovi stregoni fino a quella di Pai, che oppose una resistenza fuori dal comune ma che cedette quando Baan strinse i denti, forzando la magia a rispondere al suo volere. Il potere lo rese euforico: entrò in lui accompagnato dai battiti dei suoi cuori, che gli risuonarono nella testa come un centinaio di tamburi, e si unì a quello che aveva già accumulato. Spinse la sua sete di magia oltre ogni limite, persino verso i territori di Autozam, ma solo poche fonti di incantesimi erano rimaste e le assorbì. L’energia magica ne richiamava altra, si autogenerava, e lentamente Baan sentì le proprie membra diventare incandescenti. “Seriamente, cosa sta pensando di fare, Grande Satana?” Solo una persona avrebbe potuto parlargli in quel modo, per di più con quel tono sfrontato e carico d’ira. Ma Baan in fondo sapeva che sarebbe venuto, e forse questo avrebbe semplificato le cose. “Faccio quello che tu mi hai sempre intimato di fare, Pai. Comportandomi da Grande Satana”. “Non mi sembra proprio …” “Delle nuove testate nucleari stanno venendo qui. Me lo ha detto quel giovane messaggero. E adesso, sentendo le correnti magiche che attraversano il cielo, mi rendo conto che le sue parole erano vere e giuste. Non sono missili qualunque, Pai. Sono stati pensati per distruggere l’intera Cephiro”. L’altro demone maggiore non rispose. La situazione era così grave che Baan percepì prima i suoi dubbi, poi le paure, infine l’odio che vibrava nel suo potenziale magico: ma il vortice di incantesimi che stava creando aspirò quella magia, e l’altro fu costretto ad allontanarsi di qualche metro, senza scostare i suoi occhi scuri da lui. Pai sapeva dare il giusto peso agli avvenimenti, anche se le sue parole spesso mostravano il contrario. Da lassù i loro territori non sembravano poi così grandi: se fosse salito per un altro centinaio di metri avrebbe potuto persino scorgere le propaggini della periferia di Autozam con le sue luci. La Cephiro per cui stavano combattendo era davvero piccola, dopotutto. “Cosa succederà quando quelle testate cadranno sulla nostra gente, Pai? Cosa accadrà quando l’intera famiglia demoniaca sarà cancellata da questo bellissimo mondo o quando saremo troppo pochi per sognare un nuovo futuro glorioso?” L’altro, forse per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, rimase in silenzio. “Noi dobbiamo sopravvivere, Pai. Dobbiamo continuare a credere nei nostri valori, perché Cephiro ha bisogno della famiglia demoniaca. Per questo ho intenzione di creare un rifugio per tutti noi, per quei pochi che sono sopravvissuti a questa guerra senza senso; se la superficie del nostro regno verrà spazzata via dalle loro testate nucleari, raccoglieremo le nostre esistenze e lo nostre speranze nel sottosuolo. La magia che sto accumulando mi permetterà di scavare un rifugio sotterraneo per tutti, un luogo inaccessibile persino alle loro esalazioni venefiche. I demoni rimarranno nel sottosuolo, vicino al magma che è il cuore del mondo, finché non riterrai che il momento sia opportuno per il nostro ritorno”. “Riterrò, Grande Satana?” “Certo. Quando libererò tutta l’energia magica dentro di me, resterai l’unico demone maggiore” e l’unica persona in grado di affrontare una responsabilità così grande “Sarai tu il Grande Satana che proteggerà la famiglia demoniaca, Pai. So che sarai un sovrano molto migliore di me. È quello che hai sempre sostenuto, vero?” “Forse. Ma non in questo modo. Grande Satana, mi permetta di impedirle di …” “No. Questo è il massimo che io posso fare per il nostro popolo” sospirò. I suoi cuori stavano battendo ad una velocità incontrollabile, saturi del flusso di incantesimi che lo riempiva senza sosta, e con quel battito irregolare venne un insostenibile dolore nel profondo del petto. Chiuse gli occhi, come se il calore accumulato li potesse far fuoriuscire dalle orbite. Il suo corpo non avrebbe retto oltre. Era ora di andare. Perché c’era qualcuno che desiderava rivedere. “Proteggi e guida la famiglia demoniaca al posto mio, Pai. Sei tu il nuovo Grande Satana”. “IO LE IMPEDISCO CATEGORICAMENTE DI …” Baan si lasciò cadere, e con le ultime forze ricacciò l’altro con un incantesimo di vento. Il suolo si avvicinò rapidamente, ma decise di non aprire gli occhi. L’espressione di sgomento di Pai sarebbe stata il suo ultimo ricordo. Quando impattò lungo la superficie, il velo magico lo protesse, e scese sempre più in basso, scavando tra le rocce un sentiero che si schiudeva alla semplice presenza degli incantesimi che lo avvolgevano, fatti di cielo, terra, acqua ed energia degli esseri viventi. Il suo potere sciolse le rocce più resistenti, non cercò spazi o traiettorie alternative, puntò dritto verso gli strati inferiori, proprio dove il calore si faceva cocente, quasi insopportabile anche per la sua situazione. Fu lì che liberò l’energia. Trattenuta nello spazio angusto del suo corpo, quella si spanse in ogni direzione. Corse attraverso il sottosuolo come centinaia di draghi furibondi, scagliando ondate di potere nello spazio circostante, incenerendo qualsiasi cosa si trovasse lungo il suo percorso in ogni direzione. Baan percepì il potere di ogni singolo demone che glielo aveva offerto, persino l’immane energia del suo vecchio rivale, sprigionarsi da dentro di lui, oltre la carne, e risuonare per tutto lo spazio alle ricerca di qualcosa su cui riversare il proprio potere distruttivo; le creature dei tempi del mito che popolavano il sottosuolo svanirono in quel turbinare di energia luminosa, e Baan usò il loro stesso potere per aumentare quello della sua magia. Spinse le onde sempre più in avanti, con l’unico pensiero del mondo che avrebbe creato per i suoi demoni. E quando gli sembrò che tutta la magia che aveva accumulato fosse sul punto di terminare mise tutta quella che aveva in corpo, quella che gli spettava in quanto demone maggiore. Il suo sangue ribollì un’ultima volta, e la magia che lo aveva sempre sostenuto lo seguì; consumò i suoi cuori e i suoi organi, la pelle e tutto ciò che la imprigionava materialmente. Fu l’ondata finale, quella in cui sprigionò tutta la vita, con i suoi ricordi, i rimpianti e le certezze sgretolare. Nehellenia, sto venendo da te.
Ventus non aveva mai visto un’oscurità così fitta. Esalava dal terreno, dall’aria, dalle stesse mura della città, si sollevava come una nuvola ma era più densa dell’aria o dell’acqua. Si era formata da qualche ora, e la nube oscura gravava su di lui come un sudario. Sapeva benissimo di cosa si trattasse. O meglio, di chi si trattasse. L’ultima persona che avrebbe voluto vedere lì, davanti alle scale del cortile che conduceva all’ingresso del tempio dei Custodi del Keyblade. La situazione di Nova continuava a peggiorare: aveva portato il Cavaliere del Drago nella reggia di Re Ansem, dove i composti dei suoi dottori erano riusciti a farle riprendere conoscenza, ma di più non si era riuscito a fare. Il cerchio alchemico che il Maestro Xehanort aveva disegnato sulla sommità di quella collina era servito per assorbire tutti i poteri di Nova e adesso lei era lì, incapace persino di creare una barriera incantata in grado di proteggerla. Era riuscito a portare in salvo la sua spada, ancora sigillata nel fodero, ma quando lei aveva fatto per impugnarla le era sembrata troppo pesante, e l’arma era rovinata in terra tra lo sguardo pieno di terrore degli apprendisti del Re. E tutto questo è solo colpa mia. Nova ha perso i suoi poteri ed ha vanificato la sua missione di proteggere Cephiro solo per salvare me. Se solo potessi …. I suoi pensieri furono interrotti dal secco clang di un’armatura che scendeva da uno speeder. Ven scacciò ogni pensiero dalla testa e si fermò davanti al portone. La figura che emerse dalle tenebre era alta, dal passo fermo, un passo che il giovane Maestro del Keyblade aveva imparato a conoscere. Non cercò in alcun modo di nascondere la sua presenza, e si fermò a piedi delle scale, sotto di lui, fissandolo con i suoi occhi azzurri che sembravano vederlo per la prima volta. “Voglio il Cavaliere del Drago, Ven. So che è qui. Se che tu lo hai portato qui”. E’ questo tutto quello che dai dirmi, Terra? E’ questa l’unica cosa a cui sei in grado di pensare? “Hai un bel coraggio a farti vedere qui dopo quello che hai fatto al Maestro Eraqus”. “Ho fatto quello che dovevo per il bene di Cephiro. Lui ed il Re Ansem hanno venduto questa città ai demoni. È anche colpa loro se quegli Heartless sono dilagati ad Autozam”. Come puoi parlare così, Terra? Come puoi dire queste cose? “IL MAESTRO ERAQUS TI VOLEVA BENE, COME HAI POTUTO FARGLI UNA COSA DEL GENERE?” Come in risposta alla sua domanda, l’oscurità intorno al suo vecchio amico iniziò ad addensarsi. Al ragazzo tornò in mente il giorno del loro esame e di quelle spire di tenebra che avevano supportato il suo attacco; ma stavolta queste erano più intense e visibili, e prendevano forma da tutto il suo corpo. Ven sentì la propria mano sinistra saettare per evocare il Keyblade, ma resistette all’impulso e rimase a guardare quelle tenebre dense che lentamente avvolsero tutto il cortile ed uscirono per le strade. Non era giunto fino a quel momento per incrociare le lame con il suo vecchio amico e maestro; o, se fosse successo, non sarebbe stato lui ad iniziare il duello. Pensò a Nova, ed al suo ostinato desiderio di non sguainare mai la Spada del Drago Diabolico, anche quando interi battaglioni di umani cercavano di distruggere Radiant Garden o quando gli eserciti delle due razze si davano battaglia. Non si poteva ottenere la pace mostrando le armi. E se voleva preservare l’amicizia per Terra non poteva attaccare per primo. L’aria si fece gelida, come se l’Oscurità volesse entrargli a forza nei polmoni, ma la inspirò tutta e rimase in attesa. “Te lo ripeterò un’altra volta, Ven. Portami dal Cavaliere del Drago”. “No. Ma posso darti un buon consiglio: vattene subito di qui!” L’altro sorrise, di un ghigno che non aveva mai visto su quella faccia “Non credi di troppo piccolo per fare simili minacce?” “Non ti sto minacciando, Terra. Tu lo stai facendo!” “Sai una cosa?” rispose, con uno strano scintillio negli occhi “HAI RAGIONE!” Ven si scansò d’istinto, e l’attimo dopo, nel posto dove lui stava, il Keyblade di Terra aveva aperto una spaccatura lungo le scale. Dai frammenti del pavimento lastricarono si generarono strani fumi neri, ed il ragazzo evocò la sua arma. L’altro sollevò il lungo Keyblade e lo fece mulinare nella sua direzione, ma il ragazzo era già sceso nel cortile con un salto, appoggiandosi alla ringhiera per sfuggire al fendente. Provò a dire qualcosa, ma la falcata del suo vecchio compagno di allenamenti lo raggiunse, e fu costretto prima ad abbassarsi, poi a rotolare su un fianco ed a parare per evitare che uno di quei colpi gli spezzasse le ossa. Lama contro lama, ma non erano identici. Dopo migliaia di ore di allenamento con i Keyblade, lo conosceva meglio di un fratello, aveva imparato a combattere al suo fianco, ma non a tenergli testa in maniera seria. Terra aveva perfezionato lo stile guerriero di Eraqus, basato sulla dominanza fisica dell’avversario, con dei colpi che incanalavano tutta l’energia interiore che il Cuore dei Mondi concedeva ai suoi eletti. Mentre lui … aveva sempre sfruttato la sua bassa statura per incrementare la velocità, era bravo a schivare e fintare, ma non sarebbe mai riuscito a tenere in stallo un duello per tutto il tempo necessario a far stancare l’avversario. A ogni colpo, Ven cedeva terreno, allontanandosi dall’ingresso del tempio; forse non era la migliore delle tattiche, ma la sola idea di ferire Terra anche per errore gli avrebbe ridotto il cuore in cenere. Ad ogni fendente gli tornavano in mente gli occhi luminosi di Aqua, i suoi sogni e le speranze che aveva riversato nel loro compagno di allenamento, e si intimò di resistere anche per lei. I colpi lampeggiavano. Il giovane maestro tentò un affondo accompagnato da un calcio, ma l’altro lo bloccò con il bracciale dell’armatura e lo ricacciò indietro, incalzandolo come un animale pronto a sbranare la preda; Ven uscì dall’ingresso del tempio, e Terra lo seguì nella piazza centrale di Radiant Garden. Senza accorgersene mise i piedi dentro una fontana ornamentale e scivolò lungo la decorazione marmorea, ma quella cadde in pezzi e fu costretto a portarsi di nuovo al riparo, sollevando un’esplosione di schizzi. Era certo di scorgere un cerchio alchemico disegnato sull’arma del suo amico. Fu circondato da una nube di oscurità, così fitta che inciampò nelle sue stesse gambe; evitò il colpo diretto alla sua testa solo perché rotolò su un fianco, ma i mattoni che vennero distrutti dal fendente nemico caddero anche nella sua direzione e sentì del sangue colargli lungo l’orecchio ed il collo. Indietreggiò fino a salire su un basamento circolare che attorniava delle aiuole; dietro di lui vi era solo un condotto di irrigazione non più grosso del suo braccio, collegato alle cisterne centrali mediante una serie di tubature che si portavano in alto, verso una delle centrali idriche connesse al palazzo regale. Indietreggiando, Ven salì sul condotto e si mantenne in equilibrio mentre ribatteva fendente su fendente. Terra intercettò un suo colpo “Sei sempre stato bravo a scappare, Ven” con la voce più cupa di un pozzo, più tetra della foschia degli Heartless “Ma ora non ci sono le gonnelle di Aqua dietro cui andarti a nascondere!” “Questo lo so da me”. Non aveva un piano ben preciso. Oltre ad evitare i suoi colpi, il suo obiettivo era allontanarlo dal tempio dove si trovava Sora. Solo che non aveva idea di come vincere quella battaglia. Cercò di pensare a qualcosa di più concreto, ed in quell’istante l’avversario spezzò la sua guardia ed abbatté il Keyblade sul condotto, che esplose in un getto di acqua bollente e vapore. Ven perse l’equilibrio e spiccò un salto dal condotto e con una capriola atterrò sulla grata di un canale di scolo al lato della piazza; quando Terra lo raggiunse spiccò un altro salto, e si accorse di essere giunto davanti all’ingresso del palazzo reale. Avvolto nell’oscurità anche più del resto di Radiant Garden, l’edificio riusciva comunque a trasmettergli una maggiore forza: Sora era nel tempio, ma Nova stava riposando nel palazzo. Non poteva permettere all’avversario di mettere piede lì dentro. Lanciò il Keyblade nella sua direzione, colpendolo di sorpresa; Terra lo parò, ma nel frattempo Ven era su di lui, e dopo aver richiamato l’arma nella mano sinistra approfittò di quei pochi secondi di vantaggio per dargli un sonoro calcio sugli stinchi. Il metallo della sua armatura emise un suono cupo al contatto con quella dell’altro, e quando Terra cercò di colpire la sua testa lui sgattaiolò alle sue spalle, sbilanciandolo. Si lanciò verso di lui per farlo cadere a terra un volta per tutte, ma quando si trovò il salto vide la mano destra del nemico abbandonare la presa sul Keyblade e proiettarsi nella sua direzione: prima che potesse gettarsi di lato, le cinque dita si aprirono di scatto ed una sfera nera, pulsante, si staccò dal palmo ed esplose contro di lui. L’ondata di gelo fu indescrivibile. Il potere dell’Oscurità lo scaraventò contro un muro, mozzandogli il respiro, lasciandolo barcollante e quasi tramortito: si portò una mano al petto, e venne ferito dalle schegge della sua stessa armatura. Se non ci fosse stata la cotta metallica a proteggerlo non sarebbe sopravvissuto a quell’attacco. Si accorse di essere caduto tra le siepi del giardino reale, ed imprecando tra i denti per il dolore fece sparire la propria arma e si acquattò tra i cespugli, cessando anche di respirare; Terra entrò nel giardino qualche istante più tardi, avvolto dalle tenebre, e con la testa si girava a destra ed a sinistra. Ven lo vide da dietro le ampie foglie di un cespuglio di dederit, e pregò che il proprio cuore smettesse di battere con tanta forza. Crede di avermi ucciso. Sta cercando il mio corpo. Colpirlo di sorpresa non gli sembrava una cosa molto cavalleresca, ma la sola idea di quella potenza omicida libera per Radiant Garden gli rigettò in gola qualsiasi istinto morale. Se fosse riuscito a colpirlo alle spalle ed a tramortirlo avrebbe ancora potuto avere una possibilità di fermare quella guerra priva di senso. Terra guardò dietro due alberi, e con un movimento impercettibile il ragazzo si sollevò e si nascose dietro un’enorme pianta dal tronco rosso, grande abbastanza da coprire tutta la sua figura. Con lo stivale ruppe un piccolo ramo, ma i passi marziali dell’altro coprirono quel piccolo rumore. Per sua fortuna, il suo vecchio compagno d’armi perse interesse nella ricerca del suo cadavere: in fondo tutta l’Oscurità nell’aria giocava a favore di Ven, ed il ragazzo si asciugò il sangue dalla fronte e salì sui rami più bassi dell’albero, nascondendosi tra i fiori blu e neri non ancora appassiti. Terra diede la spalle al suo nascondiglio con uno sguardo vuoto; Ven scivolò sul ramo più robusto che trovò, pronto a saltargli addosso. Ma uno scintillio davanti a lui gli fece morire il cuore in gola. Dall’ombra del cortile del tempio emersero due figure una più piccola dell’altra, e quella con i capelli argentati, visibili anche in quella nebbia tenebrosa, puntava un Keyblade verso Terra in maniera piuttosto aggressiva. “Se pensi di attaccare Radiant Garden da solo sappi che anche noi ti fermeremo!” “Sarai anche molto più forte di noi …” fece l’esigua voce di Sora, come a fare da coro a quella del suo migliore amico “… ma il Maestro Eraqus ci ha insegnato a non temere i nemici più grandi!” Da quella posizione vide il suo fratellino caricare un sasso in un fionda e lanciarlo verso il nemico, mentre davanti a lui Riku mosse la sua arma in avanti e di lato, come per invitare il Custode avversario a battersi contro di lui. Il proiettile improvvisato mancò il bersaglio, ma Sora imperterrito prese un altro sasso e si preparò a scagliarlo. In qualsiasi altro momento, Ven sarebbe stato orgoglioso del fratello: senza Keyblade, senza nulla di più potente di una fionda creata in casa, cercava di difendere il suo mondo ed i suoi amici a qualsiasi prezzo. Ma davanti a Terra e all’Oscurità, Ven capì che non poteva permettere a Sora di pagare quel prezzo. “RAGAZZI, ANDATE VIA DI LI!” gridò, mandando in aria tutto il suo effetto sorpresa. Come colpito da una sferza, il suo vecchio compagno di allenamenti si voltò nella sua direzione, e con un secondo lampo di Oscurità colpì l’albero su cui aveva trovato rifugio; Ven rovinò sul pavimento del cortile e l’altro, con una furia cieca senza pari, si scagliò su di lui e con un solo fendente spezzò a metà il tronco, costringendolo carponi a cercare una via di fuga mentre l’arma picchiava più volte sul terreno, facendolo esplodere in centinaia di zolle. Con lo sguardo ancora puntato verso i due ragazzi, il giovane maestro richiamò a sé l’arma e si allontanò verso un settore laterale del giardino, sicuro che l’altro lo avrebbe inseguito. Era in una delle aree preferite del Re Ansem, con ampie panche in marmo che levitavano tra silenziosi ruscelli artificiali che facevano capolino tra grandi aiuole di fiori di un rosso sgargiante, che nemmeno le tenebre riuscivano a far tramontare del tutto. Quando notò il bagliore bronzeo dell’armatura dell’altro venire in quella direzione, si allontanò con un balzo dal terreno su una delle panchine descrivendo un arco. Con la mano destra cercò i comandi che ne regolavano la levitazione ad antigravità, e l’apparecchio si sollevò per un altro paio di metri. Con una spinta si diresse verso un’altra panchina all’ombra di un balcone sovrastante, e quando Terra comparve in tutta la sua possanza la liberò dal sistema di frenaggio e la mandò contro di lui. L’altro menò un fendente verso l’oggetto contundente, ma prima che riuscisse a farlo a pezzi il ragazzo era tornato alla sua postazione fluttuante. Con un verso ancora più inumano Terra imitò la sua mossa e si lanciò su un altro dispositivo che si sganciò dal terreno e barcollò sotto il suo peso; Ven si aggrappò con la mano destra alla sua panca, modificandone l’assetto in modo da avere sempre il proprio Keyblade pronto ad intercettare quello dell’avversario, ma questi aveva già previsto la sua manovra e creò un terzo globo oscuro. Il giovane lo deflesse, ma per compiere quel movimento inclinò troppo la sua panca e perse l’equilibrio. Si aggrappò ad una delle ringhiere in metallo per non cadere. Quei dispositivi erano tarati per non levitare oltre una certa quota, ma Ven era certo che se fosse caduto da quella posizione si sarebbe come minimo spezzato le gambe. Da lassù vide poi le sagome di Sora e Riku entrare nel giardino contro ogni suo avvertimento. “Sei pronto, Riku?” “Al tuo segnale, Sora!” “Facciamogli vedere che nessuno conosce i segreti di Radiant Garden meglio di noi!” Suo fratello si lanciò dietro una statua ancora salva dalla furia di Terra, e Ven iniziò a sgambettare dalla sua scomoda posizione per attirare l’attenzione dell’altro Custode verso di lui: quello si era già spostato su una seconda panca con un solo salto, e su quel terreno l’altezza era tutto. Il ragazzo cercò di scorgere con la coda dell’occhio se sotto di lui vi fossero alberi su cui lasciarsi cadere, ma l’oggetto era finito proprio al centro del cortile e la cosa più morbida sotto di lui era la figura dell’altro giovane Custode. L’attimo successivo, un rumore di ingranaggi sotto di lui lo mise in allarme, e fece in tempo a sollevare le gambe verso l’alto che un potente getto d’acqua scaturì da fiumi artificiali e saettò verso l’alto, diretto verso la panca di Terra. Un piccolo gorgo si formò nei graziosi giochi d’acqua sotto di loro, e le pompe dei sistemi di irrigazione emersero dal fondo del ruscello ed iniziarono a lanciare aria ed acqua compressa verso l’alto, investendo in pieno il suo vecchio amico; i piccoli bocchettoni illuminati ruotavano sui loro assi e sembravano addirittura prendere la mira. Non gli ci volle molto a capire chi li stava direzionando. “Tutto tuo, Riku!” fece la voce di Sora da dietro i cespugli, e dal basso Riku scagliò il suo Keyblade con una precisione degna del Maestro Eraqus. Terra fece per sporgersi e parare la lama in arrivo, ma uno schizzo d’acqua lo colpì nel bel mezzo della faccia, e prima che potesse riprendersi dalla sorpresa l’arma colpì la sua panca. Una scarica elettrica unita all’acqua fece il resto. Il dispositivo sbandò di lato, e si schiantò contro un muro del palazzo in una nuvola di polvere e scintille; Ven vide il suo amico sbalzare il aria ed atterrare con un tonfo sordo sulle mattonelle. Riku e Sora ebbero il buon gusto di allontanarsi da lì, ma rimasero comunque all’ingresso del giardino mentre il giovane maestro cercò di recuperare l’equilibrio sulla sua panca approfittando di quei brevi secondi di quiete. Ma non durarono a lungo. La massiccia figura di Terra si rialzò, appoggiandosi al Keyblade. Si mise in piedi a fatica, ma quando portò una gamba in avanti tutto il suo corpo fu avvolto dall’Oscurità; sembrava provenire dalle stesse placche della sua armatura, e saliva dall’interno delle giunture fino ad avvolgerlo come un mantello. Come è possibile? pensò Ven, Dopo una caduta da quell’altezza non dovrebbe essere in grado di alzarsi in piedi. Osservò di nuovo il suo vecchio amico, che stava dirigendosi verso i due ragazzi con un passo sempre più spedito. Mandò un grido di avvertimento, ma stavolta Sora e Riku furono più attenti ed indietreggiarono verso il tempio, sparendo tra le siepi, i cespugli ed i pochi alberi ancora intatti; il giovane maestro fu quasi contento di vedere l’attenzione del suo vecchio amico di nuovo verso di lui. “Terra, smettila con questo duello insensato! Torna in te!” “Cosa ti fa presumere che io non sia in me?” Tutta quella Oscurità. È da lì che trae la sua forza. Prima di riuscire a formulare una risposta concreta, Terra usò lo stesso attacco di cui era rimasto vittima qualche attimo prima. Il suo enorme Keyblade saettò nell’aria, e per quanto il dispositivo fluttuante fosse maneggevole, Ven non riuscì a spostarlo e venne colpito a sua volta. La scarica elettrica si propagò anche nel metallo della sua armatura, ed un dolore violento alla gamba destra gli impedì di saltare come desiderava e cadde rovinosamente. La furia di Terra fu la sua salvezza. L’avversario si scagliò contro di lui con la lama di nuovo nelle mani, pronto a colpirlo durante la caduta; il ragazzo si accorse del movimento ed usò lo stesso Keyblade nemico come appiglio, appoggiandoci sopra la gamba non ferita e mantenendo per pochi attimi l’equilibrio necessario per spiccare da lì un nuovo salto, diretto verso il sicuro pavimento. Il fendente di Terra era poderoso ma lento, e quando vi atterrò percepì tutta la potenza magica di cui era imbevuto, e quando riuscì a recuperare terreno ispirò profondamente. La gamba destra continuava a formicolare, e quando si mise di nuovo in posizione di guardia barcollò, incapace di mantenere la posizione per più di qualche secondo. Cambiò modalità difensiva caricando tutto sull’altra guardia, ma sapeva bene che al primo affondo di Terra non sarebbe stato in grado di sostenere la forza dell’impatto. E se ne accorse anche l’altro. “Che cosa ti ha fatto anche solo pensare di potermi tenere testa, Ven?” “Tenerti testa? Nemmeno nei miei sogni più arditi!” rispose, osservando i suoi movimenti “Ma qualcosa dovevo pur fare. Non ho alcuna intenzione di rimanere a guardare mentre il mio migliore amico semina morte, paura ed Heartless per tutta Cephiro. Forse è vero che per salvare questo mondo non bastano le singole persone, ma occorre qualcuno di potente come il Cavaliere del Drago …” disse, mentre il suo pensiero andava a Nova indebolita “… ma non posso delegare a nessuna divinità il compito di salvare te!” “E pensi di salvarmi mulinando l tuo piccolo Keyblade?” “No. Ma il Maestro Eraqus diceva sempre che tu imparavi qualcosa solo combattevi. E poiché so che il Maestro non sbagliava, continuerò a restare in piedi finché non ti sarà tornata la ragione! Finché non capirai gli sbagli che hai commesso e andrai a chiedere scusa ad Aqua!” “Aqua?” rispose l’altro, come se ascoltasse quel nome per la prima volta “Aqua si è schierata con dei ribelli terroristi. Se c’è qualcuno che ha sprigionato la scintilla della guerra ad Autozam è stata proprio lei. E ne ha pagato le conseguenze, credimi” “COME TI PERMETTI DI INSULTARE LA SIGNORINA AQUA IN QUESTO MODO!” fece una voce, e per un attimo sia lui che il suo avversario guardarono in alto. Ven reagì d’istinto, e si lasciò cadere su un fianco quando qualcosa di gigantesco, nero e pesante cadde in mezzo. L’oggetto esplose in una decina di pezzi “E PENSARE CHE HA SPRECATO IL SUO TEMPO INNAMORANDOSI DI UN IDIOTA COME TE! NON TOLLERERO CHE QUALCUNO INFRANGA IL SUO DELIZIOSO CUORE!” Il ragazzo si rialzò, ancora più confuso, ed esaminò due pezzi dello strano oggetto che erano caduti accanto a lui, uno nero ed uno bianco. Tasti di un pianoforte? Ma cosa …? Braig emerse da dietro la ringhiera di un balcone: “Re Ansem, giuro che glielo ricompro!” “Taci!” sentì un’altra voce sopra di lui “E vediamo come quel Custode tutto muscoli se la cava con questo” Terra emerse da sotto il pianoforte, frantumandone i resti con il Keyblade. Ma fu costretto a sollevare l’arma in aria per difendersi, perché un armadio a sette scomparti, scagliato dai fidi Dilan ed Aeleus, piombò su di lui con incredibile precisione. Il suo avversario scomparve per qualche istante in una nube di scaffali, ante e schegge di vetro, per poi riemergere bombardato da quella che il giovane Ven riconobbe come la scrivania intarsiata di Even, primo scienziato di corte, seguita da un oggetto metallico che non riusciva a distinguere. “RADIANT GARDEN NON CADRA CERTO PER MANO DI GENTE COME TE!” gridò la gigantesca guardia dai capelli castani; con un colpo della sua mazza spezzò in due una statua decorativa posta all’angolo del terrazzo superiore, ed il frammento di marmo cadde nel giardino verso Terra. Questo emise un grugnito e parò con l’avambraccio sinistro, ma appena spostò la posizione del Keyblade qualcosa di piccolo scintillò verso di lui, così veloce che non riuscì ad evitarlo. La fiala esplose contro un gambale, ed il liquido blu frizzò lungo la superficie bronzea ed il Custode fu costretto ad indietreggiare per tamponare la gamba ferita ed evitare che l’ennesimo mobile del palazzo regale lo colpisse. Fu incalzato da una seconda ampolla e da una terza, che mancarono il bersaglio ma lo costrinsero alla ritirata più di quanto non avessero fatto i suoi fendenti. Ven osservò il punto di partenza degli alambicchi, e da un secondo terrazzo vide Even e Ienzo, il suo giovane assistente, inserire carrelli di fiale ed oggetti di vetro dentro un macchinario dai mille colori: questo, guidato dalle mani del più anziano, ruotava il corpo come per prendere la mira e rilasciava le provette da un condotto circolare che si illuminava ad ogni lancio. Il cuore del giovane Custode riprese a battere con più forza, come se cinque raggi di sole avessero squarciato il velo che l’Oscurità aveva gettato sulla città “Il Cavaliere del Drago ha ragione. Non possiamo aspettare che sia una divinità a rimetterci sulla retta via. I nostri errori dobbiamo correggerli da soli”. Alle parole dello scienziato biondo gli altri annuirono, e Ven ebbe la sensazione che dietro quelle parole vi fosse qualcosa di nascosto di cui non faceva parte. Una nuova ombra su di lui gli fece capire che qualcosa di grosso stava per piovere su Terra per mano di Dilan “Non saremmo il Reale Esercito di Radiant Garden se non sapessimo fare nemmeno una cosa del genere, giusto?” “Puoi dirlo forte!” rispose Braig, che con uno schiocco caricò le sue balestre automatiche e svuotò il caricatore contro il nemico: quello deflesse tutti i colpi, ma il suo mulinare era lento e pieno di furia, quindi lasciò il fianco scoperto ad un secondo assalto degli alambicchi degli scienziati. Il ragazzo rimase senza fiato per qualche istante. Ma fu di breve durata. Terra indietreggiò ancora, fino a dare le spalle al basso muretto che recintava il giardino; li fissò tutti con odio, ed il giovane maestro del Keyblade sentì un’ondata di ghiaccio corrergli lungo la schiena. Ormai lontano dalla linea di tiro di Dilan ed Aeleus, si asciugò un piccolo rivolo di sangue che colava dalla fronte e l’oscurità si addensò intorno a lui, ancora più corposa e satura di prima, come se da essa dovesse uscire fuori un intero esercito di Heartless. “Credevo che gli abitanti di questa città fossero innocenti. Che la colpa di questa guerra cadesse solo sulle scelte sbagliate di Re Ansem e del Maestro Eraqus. Ma è evidente che ho fatto un errore di valutazione” disse, con furia crescente nelle parole “È chiaro ormai che il marcio del re si è sprigionato per tutti gli abitanti di questa città …” “Di marcio qui ci sei solo tu!” risposero dalle torri, ma quello li ignorò. “… e quindi non mi resta altra scelta. Tutta questa città deve pagare” “TERRA!” gridò Ven, lanciandosi nella sua direzione. L’Oscurità lo respinse come un pugno sferrato tra le costole, e reagì alla sua foga con un’intensità superiore. Mentre cadeva, il ragazzo vide il suo vecchio migliore amico lanciare un grido bestiale e conficcare il Keyblade nel terreno: i dardi luminosi delle balestre di Braig svanirono, avvolti dalle tenebre, e per quanto il soldato cercasse di svuotare il caricatore tutti i colpi venivano inghiottiti da quella mole oscura sempre più corposa. Ienzo gridò un avvertimento e lanciò un piccolo dispositivo esplosivo, ma quello crepitò contro la barriera nera di Terra e cadde nel giardino, rotolando come una sfera per bambini. La terra tremò. Le piastrelle che lastricavano il giardino e le zolle erbose volarono in tutte le direzioni e Ven, che ancora non era riuscito al alzarsi in piedi, fu scaraventato contro un muro; questo si distrusse a sua volta per le scosse, ed il giovane sentì i mattoni crollare contro la gamba già ferita. Dal Custode in armatura bronzea sembravano partire costanti ondate di energia accompagnate da un vento innaturale che spezzò tutti i rami degli alberi e costrinse gli scienziati sul balcone ad abbandonare la loro postazione. Ci fu una seconda scossa, ancora più violenta, e dal punto in cui il Keyblade di Terra era conficcato si aprirono delle spaccature nel terreno da cui uscivano vapori neri; Ven cercò di guardare verso il tempio, nella speranza che Sora e Riku si fossero portati in salvo, ma la sua attenzione andò alla crepa nel terreno che sembrava muoversi nella sua direzione. Scavalcò quello che rimaneva del muretto e corse verso sinistra per aggrapparsi ai rami di un albero, ma la fenditura lo seguì: come un animale predatore, l’energia liberata dal suo avversario lo inseguì, distruggendo tutto quello che incontrava e facendone sprofondare i resti nelle viscere del terreno. Altre due fenditure si abbatterono contro il palazzo, proprio sotto la terrazza su cui si trovavano le guardie. L’enorme edificio sussultò, ed alcune impalcature per la manutenzione crollarono a pochi metri da lui: gli uomini furono scagliati a terra, e per poco Even non venne scagliato di sotto. La crepa raggiunse l’albero su cui si era rifugiato; Ven si tuffò di lato prima che la pianta fosse spezzata ed inghiottita dal terreno. I vapori oscuri emersero dalla spaccatura, e prima che potesse scappare gli erano già addosso. Non devo respirarli. Evocò il Keyblade e menò fendenti per l’aria; la lama scintillava con crescente energia, ma l’Oscurità evocata da Terra ormai aveva invaso di nero il suo campo visivo, ed a stento riusciva a scorgere le mura del palazzo. Un raggio di luce scarlatta attraversò le tenebre. Ven la vide nascere dall’ingresso dell’edificio, e squarciò la massa nera fino a raggiungere Terra; quello sollevò il capo dal Keyblade, ed in pochi attimi la sua armatura rispose a quella luce intensa. Il cerchio alchemico disegnato sulla lama si tinse di rubino a sua volta, come per contrastare l’incantesimo, ma il Custode fu costretto ad estrarre l’arma dal terreno per difendersi e le crepe persero qualsiasi forma di vita. L’aria fu sferzata da un ruggito. Nel cortile era tornata la luce. Debole, pallida, timida come nel momento del crepuscolo. Le ombre, come esseri viventi, si dispersero per raggiungere di nuovo la figura del Custode. Il giardino era devastato, e dei delicati ruscelli, delle panchine e dei fiori rossi e bianchi restava soltanto un terreno ribaltato, con zone sollevate dalle onde di energia. Lentamente, come se non vi fosse alcuna fretta nel loro mondo, le figure di Nova e del Re Ansem uscirono dal portone principale. Non aveva mai visto Nova così pallida: il Cavaliere del Drago aveva sempre avuto la pelle bianca come quella dei demoni, ma in quel momento poteva vedere le vene disegnarle un arabesco blu intorno alle tempie. Camminava dando il braccio al sovrano, che la accompagnava come se fosse una principessa diretta al ballo; il suo incedere era debole, e non si era affatto ripresa da quando l’aveva portata nel palazzo. I suoi piedi avevano difficoltà a superare i mille ostacoli che il loro duello aveva disseminato sul terreno, ma Re Ansem rallentava l’andatura per permetterle di superarli. Anche l’emblema del drago sulla sua fronte, che aveva emanato quella luce rossa, brillava con minore forza; quando Nova si era rivelata per la prima volta, davanti alla giuria degli oligarchi, quel simbolo di natura divina aveva brillato con tale fervore da costringere anche i sovrani degli uomini a prestarle ascolto. Adesso era flebile, e le illuminava il viso dando uno strano riflesso agli occhi rubino. Lo stesso Terra rimase per qualche secondo immobile, colpito da quella visione. Ma fu di breve durata. Le linee rosse che avvampavano sulla sua arma si dissolsero, e si eresse di nuovo fiero, guardando nella loro direzione; le ombre alle sue spalle erano più vive che mai, e reagivano con movimenti bruschi e contorti alla presenza di Nova. “Sei venuto da me per pagare i tuoi peccati, Cavaliere del Drago?” la apostrofò, pur non avanzando nella sua direzione “Hai voltato le spalle alla tua missione ed hai permesso ai demoni di liberare gli Heartless contro gli esseri umani. E sappi che non ti permetterò di farla franca!” “E da quando in qua gli uomini hanno il diritto di giudicare l’inviata della Madre Drago?” Fu Re Ansem a parlare. Ven non lo aveva mai visto così scuro in volto. Il sovrano della loro città aveva sempre donato a tutti, persino agli sconosciuti, briciole del suo sorriso e di magnanimità; eppure in quel momento sembrava che decine di anni si fossero abbattute sulle sue spalle, lasciandogli un’espressione severa e corrucciata, ma anche molto triste, negli occhi ambra. Non conosceva incantesimi e non sapeva imbracciare un’arma, ma in quel giardino distrutto sembrava l’unica persona in grado di dominare la situazione. Fu quando avanzò di un passo, seguito dolcemente da Nova, che Ven vide le pieghe del suo camice diradarsi e, dal palmo della mano sinistra, far bella mostra l’elsa della Spada del Drago Diabolico. La spada che Nova aveva promesso di non sfoderare mai. “E se anche lo avessimo, cosa potremmo imputarle? Assolutamente nulla, se non troppo amore. Amore per tutti, umani e demoni. Per questo mondo imperfetto.” E per i dolci di Nonna Lenna, pensò Ven, guardandola. Per un mondo dove non ci dovrebbe essere bisogno di un Cavaliere del Drago per sistemare le crisi. “Giovane Terra, ragiona” riprese il sovrano “Se il Cavaliere del Drago si fosse schierato con i demoni, come tu stesso sostieni, a quest’ora l’intera Autozam sarebbe crollata per mano sua”. A quelle parole il Custode sputò per terra e fece un ghigno amaro “Se il Cavaliere del Drago si fosse schierato con gli umani, quale era il suo compito, a quest’ora Autozam esisterebbe ancora”. “Non sono stati i demoni a distruggere gli uomini. È stata la loro stessa avidità, unita agli intrighi del Maestro Xehanort”. “IL MAESTRO XEHANORT HA FATTO TUTTO IL POSSIBILE PER SCONGIURARE QUESTA MINACCIA!” Per causarla, sarebbe più corretto … “Ven?” La voce di Nova interruppe i suoi pensieri. Aveva perso il suo tintinnare argentino, e sembrava venire da qualche luogo remoto, come un soffio di vento in una landa desolata. Era la prima volta, in quel duello, che la sentiva parlare. Ed era certo che anche quello le stesse costando molta fatica. Persino il suo amico tacque, come incredulo che il Cavaliere del Drago stesse concentrando le sue attenzioni su un’altra persona. “Ven, dimmi, cosa vuoi che faccia?” Che domanda è questa? pensò, fissando sgomento prima la ragazza e poi l’altro Custode. Era chiaro che il suo amico non ragionava più; l’Oscurità aveva ripreso ad avvolgerlo con più forza, ed il quell’istante il giovane Ven capì il perché il maestro era stato così preoccupato per le tenebre che aveva visto nascondersi nel suo apprendista. Non erano un semplice potere incantato o una magia in grado di essere domata da creature come i demoni: era un potere unico ed autonomo, che consumava il fisico e la mente di chi vi si immergeva. Terra aveva cercato di dominarlo secondo le direttive dell’anziano alchimista, ma in realtà era stato lui ad esserne assoggettato: al ragazzo sembrò di vedere nelle parole, nei gesti e nello sguardo stravolto del suo amico, la tela invisibile che il Maestro Xehanort aveva tessuto in quegli ultimi tempi. Un piano che aveva portato l’uomo ad elevarsi fino al Cuore dei Mondi, e Terra a sprofondare in un abisso senza uscita. Forse anche lui è stato usato per i suoi scopi. Forse è una vittima come noi, catturata in modo ancora più infido. Forse … “Salvalo”. Lei gli sorrise. “Sapevo che avresti detto una cosa simile, ma volevo esserne sicura” Lentamente liberò il braccio da quello del sovrano, e l’energia magica che crepitava in quel giardino parve raccogliersi intorno a lei “Re Ansem … la mia spada, per favore”. Che cosa …? “Lady Nova, è sicura della sua decisione?” chiese il re, con uno sguardo severo che non sfuggì al giovane Custode. Lei annuì, e prese l’arma con entrambe le mani. L’uomo cercò di aiutarla, ma con un gesto che ne ricordava la natura divina perduta lei gli fece cenno di allontanarsi; guardò l’arma con enorme tristezza, poi la sfoderò. Ven aveva visto qualche lama demoniaca nel corso della sua vita: erano sempre lunghe, eleganti, nessuna uguale ad un’altra; lungo le loro superfici lucenti vi erano sempre scritture in lingue dimenticate, oppure rune di potere incise dai migliori maghi armaioli di Pharen. Erano oggetti che bastava osservarli per percepirne la perfezione del taglio, e coloro che erano capaci di sentire la presenza di magia giuravano di vedere una vera catena di incantesimi che congiungeva la lama al proprio padrone. Ma nessuna arma demoniaca poteva essere paragonata alla Spada del Drago Diabolico; sentì il dovere di inginocchiarsi davanti a quell’oggetto, e vide che tutti, tranne Terra, abbassavano lo sguardo davanti a quel regale splendore. L’elsa a forma di testa di drago, che non aveva mai osservato da così vicino, ruggì mentre la lama veniva sguainata: come animata di vita propria, i suoi occhi si aprirono come quelli di un drago vero, ed arsero di luci rubino proprio come gli occhi di Nova che ritornarono vivi ed in fiamme. La lama emanò un bagliore accecante, e le tenebre che ancora infestavano il palazzo e la piazza si dissiparono in dei sibili disperati; le loro armature iniziarono a risplendere in risposta. Ven si coprì gli occhi, e scostò il braccio solo quando percepì la luce diminuire d’intensità. L’arma era perfetta. Non vi era alcuna runa sul metallo, e la figura di colei che la impugnava poteva riflettersi sulla sua superficie. Sembrava che potesse contenere tutta la luce del mondo. Ven capì perché Nova si fosse sempre rifiutata di sguainarla anche davanti alle testate nucleari. Ma perché allora usarla contro Terra? In realtà il diretto interessato osservò la scena con una curiosità beffarda. “Sei così in difficoltà da dover sguainare la leggendaria Spada del Drago Diabolico, Cavaliere? Non avevi promesso davanti al mondo intero che non l’avresti mai usata?” Portò in avanti il Keyblade, che diventò colore della notte. Le tenebre, indebolite dalla luce divina, si erano concentrate intorno alla sua arma e pulsavano, cercando nell’odio di lui una fonte di nuova energia. “Ma sappi che non mi fai paura!” Lanciò un urlo di battaglia e corse verso Nova, colmando in un paio di falcate la distanza che li separava. Ven si sollevò in piedi e fece per correre nella sua direzione, ma quando guardò gli occhi della ragazza rimase impietrito. Erano lucidi di lacrime. “Quanta arroganza …” sussurrò lei “… credi davvero di essere degno di incrociare il tuo Keyblade con questa spada? Perché la risposta è no”. L’istante successivo rivolse la punta della Spada del Drago Diabolico contro il proprio petto e lo trapassò con la lama, immergendola fino all’elsa.
Questo mondo è giunto al termine. Fu quello il pensiero dell’homunculus quando vide da lontano una luce avvolgere l’intera Radiant Garden. Terra ha svolto il suo compito. Il Padre ha detto che non c’è più motivo di curarsi di lui. Qualcosa di incredibilmente potente si era sprigionato nella città della scienza, qualcosa che gli faceva tornare alla mente il momento in cui il Padre era asceso al Cuore dei Mondi. Una simile energia poteva provenire soltanto dal Cavaliere del Drago, ed il fatto che tutta l’Oscurità raccolta intorno alla città fosse stata spazzata via in un solo colpo era la prova che Terra non sarebbe tornato indietro. Non che la cosa lo preoccupasse. Non aveva un’anima per farlo. Si sedette sullo speeder, con le mani ancora poco abituate ai comandi: era stato un blob per molti anni, e l’uso delle dita non gli era ancora chiaro. Ma aveva tempo per imparare. Il problema, in quel momento, era rintracciare il Padre, perché dovunque fosse andato era improbabile che uno speeder o qualsiasi altro velivolo sarebbe riuscito a raggiungerlo. L’homunculus aveva portato in salvo, sempre su consiglio dell’alchimista, una nave da guerra di Autozam da utilizzare in caso di necessità: ma nulla di materiale poteva raggiungere il Portale, quindi appoggiò la schiena lungo l’imbottitura ed iniziò a riflettere. Fu in quel momento che le sue dita strinsero qualcosa. Sul sedile vicino, tra le pieghe dell’imbottitura, vi era un ciondolo a forma di stella, color arancione, che lanciò un bagliore caldo in risposta all’enorme luce che proveniva dalla città in lontananza. Lo sollevò, portandolo ad un palmo dal proprio casco, osservando i dettagli della filigrana argentata che dava forma all’oggetto e che si univa nel centro; si ricordò che il Custode lo aveva estratto dalla tasca subito dopo la fuga da Autozam. L’homunculus non sapeva dire se lo avesse lasciato appositamente lì o se gli fosse scivolato: non era un problema che lo riguardasse, ma sapeva che per gli umani, gli umani veri, oggetti simili erano molto importanti. Simboleggiavano cose come l’amicizia, l’amore, l’odio, il rancore, quella vasta quantità di sentimenti che non riusciva a provare, sebbene li serbasse nei ricordi di quando la sua matrice era viva. L’anima … Legò il portafortuna ad una delle pieghe del suo vestito nero. Non aveva senso interrogarsi su qualcosa che non poteva comprendere. Il Padre di certo conosceva la natura del cuore delle persone, e come gli aveva donato un corpo, così gli avrebbe trovato un’anima tutta sua; quel giorno avrebbe capito il significato di quello strano oggetto a forma di stella, quindi non aveva altro senso pensarci in quel momento. Accese il motore e si allontanò nella luce di un sole che, solo per quel giorno, sorgeva nella città di Radiant Garden.
Il sangue scivolò lungo i suoi vestiti. Corse lungo l’abito privo di pieghe, disegnando una linea rossa lungo le decorazioni del petto e della cintura. Prima fu una linea, poi due. Nascevano dal punto in cui la lama incontrava la carne, ma il loro movimento era lento, preciso ed ordinato. Quando Nova cadde in ginocchio l’arma di Terra mancò il bersaglio, e questi si trovò oltre lei, colpendo l’aria e atterrando in modo scomposto alla vista del suo nemico afflosciarsi al suolo. Ma fu solo quando il sangue toccò il terreno del giardino, devastato dalle scontro, che Ven percepì il potere devastante che la fanciulla aveva appena liberato. Una seconda luce li avvolse: non proveniva dall’emblema della sua fronte ma da qualcos’altro di più potente che nasceva dal cielo. Le nuvole, che fino a qualche attimo prima sembravano impregnate del potere delle tenebre, si allontanarono e rivelarono una forma gigantesca, priva di contorni, che sembrava materializzarsi al soffiare del vento. Tutti guardarono in alto e lanciarono mormorii di stupore. La figura sovrastava la città, e la sua forma si gonfiava e si agitava mentre dal suo centro proveniva la luce che aveva risposto al sangue di Nova: a Ven parve di intravedere delle zampe ed una coda nascere dalle nuvole stesse, dare sostanza a quella figura evanescente. La creatura assunse le sembianze di un drago: ma era come se nel suo corpo si specchiassero insieme la grandezza del cielo, l’immensità dell’acqua e la potenza della terra. L’essere sembrava plasmato di tutti gli elementi e da nessuno di essi, e più il ragazzo vi abbandonava lo sguardo e più era certo di non riuscire a comprendere con i suoi semplici occhi la natura di quella creatura. L’energia magica che emanava ricordava molto quella che Nova aveva sprigionato davanti agli oligarchi il giorno della sua rivelazione. Questa era calda ed immensa, superiore a quella del Cavaliere ed a quella di qualunque altro drago: ciò che la rendeva speciale era l’aura di calma che in pochi istanti placò il suo animo e, ne era certo, anche quello degli altri spettatori. Sentì il cuore della creatura battere, ed il suo muoversi ritmicamente al tempo. Il terreno sotto i suoi piedi rispondeva. “Madre Drago …” La creatura divina mosse la testa fatta di squame di nuvole e mare. Guardò in basso, dove Nova giaceva, la spada ancora salda nelle sue mani. Ven si perse in quegli occhi: era come cercare di descrivere un fuoco fatto di pura Oscurità, o una luce colore della notte; una fiamma fatta d’acqua sarebbe stato più consistente, così come una coltre di neve resa bollente per magia. Tutto il tempo del mondo, passato, presente e futuro, erano segnati in quello sguardo che trascendeva lo spazio, ed il giovane maestro li avrebbe contemplati in eterno se non fosse stato per il potente ruggito che uscì dalle fauci della Madre. Il sangue di Nova, che ormai aveva disegnato un piccolo fiume nel giardino, diventò simile ad oro. Il cortile fu il primo a mutare. Al contatto con il fluido tutte le irregolarità, i segni del combattimento, le spaccature svanirono. Ai loro piedi tutto diventò liscio e gelido, e le piante persero la loro forma, si abbassarono e si fusero con il pavimento; i fiori si dissolsero nel processo così come le panche ed i piccoli fiumi artificiali, tutto fu inglobato nell’incantesimo che aveva la figura di Nova come centro e si dirigeva ovunque, oltre il palazzo, verso le case, il tempio e le mura della città. Poi fu la volta della dimora regale: con un fragore Ven vide il palazzo dividersi in due con una spaccatura netta, con i soldati e gli scienziati che si allontanarono di lì prima di essere coinvolti nel processo. Le ringhiere si dissolsero, e le loro forme aguzze svanirono contro le pareti mentre le terrazze collassavano le une contro le altre; una delle torri che fungeva da osservatorio si staccò di netto e cadde, ma ad un secondo ruggito della Madre Drago questa si arrestò in aria e si conficcò, ancora orizzontale, contro quella che era stata la parete divisoria tra i laboratori alimentari ed i dormitori degli scienziati. Un muro bianchissimo emerse alla sua destra, e Ven si scansò per evitare di essere travolto da quelle barriere architettoniche che nascevano quasi senza senso. In alto la creatura divina mosse la testa, ed il cortile che serviva da ingresso per il tempio dei Custodi si aprì in due: nessuna spaccatura violenta, ma un solco regolare lo attraversò fino al portone principale, poi le due metà piastrellate si sollevarono in senso verticale e diventarono due muri candidi. Si unirono con le botteghe vicine, che persero qualsiasi forma di abitazione e si appiattirono contro le superfici mentre la gente usciva di lì, gridando disperata alla vista dell’enorme drago in cielo e della loro amata città che cambiava drasticamente forma davanti ai loro occhi. Ogni pianta svanì. Gli alberi del parco persero in pochi attimi tutte le loro foglie e i tronchi diventarono bianchi. Alcuni svanirono nel pavimento, altri si contorsero fino a raggiungere il terreno, alcuni si accostarono alle pareti e sulla loro forma stravolta comparvero delle scanalature simili a delle colonne. Sotto di loro il terreno si mosse, e lui, Terra, Nova ed il Re Ansem furono bruscamente separati dagli altri mentre quello che rimaneva del luogo della battaglia saliva verso l’alto, portandosi ad un livello ancora più alto dei tetti del tempio; l’enorme struttura bianca fu spostata lungo la sua destra, ed accompagnata da un battito d’ali del drago evanescente si fuse con quella che sembrava un nuova torre sbucata da chissà dove. Guardò oltre, e la pasticceria di Nonna Lenna si sollevò in aria. Atterrò molto vicina a loro, ma in quell’istante iniziò ad assomigliare ad un tetto che sfidava qualsiasi legge della fisica che il ragazzo conoscesse, e si appoggiò su quello che rimaneva delle stanze del sovrano. Diventò di un colore verde intenso e non fu più distinguibile da ciò che era in origine. Dalla sua posizione guardò in basso e capì: l’intera città di Radiant Garden stava lentamente perdendo la sua entità, e le case, le botteghe, le officine, tutto quello che era contenuto dentro le mura veniva accatastato e trasformato in qualcosa che, da lassù, aveva un senso. Sotto i loro piedi stava nascendo una fortezza dagli interni bianchi come la neve, mentre l’esterno, così ricco di torri disposte in modo arbitrario, stava perdendo la tinta chiara per assumerne una vicina al giallo, con i tetti verdi dalle mille forme. Loro quattro si trovavano su un nuovo terrazzo, più grande di quello del palazzo regale, e potevano osservare la meravigliosa trasformazione sotto lo sguardo benedicente della divinità. Fu in quel momento che si accorse di Terra: era immobile, sollevato in aria, imprigionato in una struttura trasparente che ricordava un fiore. Era sollevato a poco spazio dalla figura morente di Nova, privo del Keyblade, in una posizione serena. La capsula che lo conteneva emanava una luce rosata. Mentre ancora la città continuava a cambiare aspetto, il giovane si avvicinò al suo amico e toccò la sua prigione di cristallo, cercando di comprendere quali menzogne avevano tessuto intorno a lui per ridurlo in quello stato. Gli sarebbe piaciuto credere che, anche solo appoggiando il palmo su quella prigione, i suoi sentimenti potessero raggiungerlo. Io e Aqua continueremo sempre a credere in te, amico mio. L’Oscurità ha avuto la meglio su di te, ma sono certo che tornerai, un giorno o l’altro. Sei il più forte tra noi, non lo dimenticare mai. La capsula emise un bagliore più intenso e lentamente sprofondò nel pavimento del terrazzo, che si aprì al suo passaggio e si richiuse subito dopo. Raggiunse Nova. Attraversò lo spazio che li separava mentre lei si accasciava a terra, riuscendo quasi ad afferrarla prima che rovinasse del tutto sul pavimento. Si inginocchiò per sostenerla, girò quel viso cinereo verso l’alto, sussurrando più volte il suo nome. Re Ansem accorse al lato opposto, si chinò per un attimo, poi scambiò con lui un’espressione triste. L’abito di Nova era completamente intriso di sangue che, man mano che Radiant Garden terminava la sua trasformazione, tornava ad essere rosso intenso, umano, mortale. “Ven!” La voce della ragazza era una supplica disperata. Il giovane abbassò lo sguardo “Dobbiamo fare qualcosa! Sta morendo!" Guardò il sangue sui vestiti di lei, il corpo piegato all’altezza dell’elsa, i capelli come un velo rosa sugli incantevoli lineamenti demoniaci. Sta morendo. Sussurrò quelle parole nel silenzio della sua mente, meravigliandosi innanzitutto che ciò potesse accadere; lei era una dea, era l’inviata della Madre Drago, era colei che doveva giudicare il destino di Cephiro e distruggerlo se non lo avesse trovato giusto e perfetto come doveva. Era colei che poteva ridare la vita, che aveva riportato Sora da lui sfidando qualsiasi legge naturale. E sta morendo. “Re Ansem, faccia qualcosa!” ripeté affranto. “Ragazzo mio” disse l’uomo, stringendogli una spalla “Cosa vuoi che faccia? Non possiedo medicine, né competenza nella chirurgia tali da aiutarla. E, anche se le possedessi, non credo che riuscirei comunque a ridarle la vita, una volta che lei stessa se l’è tolta”. Ven lo guardò per un attimo, poi cominciò a parlare a Nova incitandola a farsi forza, a rispondergli ancora, incurante della gigantesca divinità che troneggiava su di loro, in attesa. Le sue parole erano confuse, insistenti, disperate, ma la ragazza reagì ad esse, e proprio mentre il Custode credette che tutto fosse finito lei riaprì gli occhi. Erano limpidi, colmi di sofferenza. Sulla sua fronte, l’emblema del drago era ormai poco più di un intreccio di linee. “Ven” sussurrò “Questo è tutto quello che potevo fare … per salvarlo …” “Cosa intendi dire?” Lei cercò di sollevarsi e gli toccò il volto, le dita erano fredde contro le sue guance “Ho estirpato tutta l’Oscurità che si era annidata in lui. L’ho imprigionata in quella capsula luminosa, e dormirà indisturbata in questo castello che mia Madre ha creato appositamente per lui. Non si può distruggere l’Oscurità, così come non si può cancellare la Luce. Ma la si può rinchiudere, a patto di pagare il giusto prezzo”. La tenne stretta alla consapevolezza di quelle parole. “Ti avevo chiesto di salvarlo ma non … non a questo prezzo!” “Avresti preferito che io lo distruggessi?” “No, certo che no, ma …” Lei gli sorrise “E allora va bene così. I miei poteri resteranno per sempre in questo luogo, ed impediranno alle tenebre di manifestarsi. Il tuo amico, tutto ciò che ne è rimasto, continuerà a vivere al tuo fianco, non temere … e poi … qui sarete al sicuro … loro sanno che non devono attaccare questo luogo”. “Loro chi?” gridò, prendendole la mano “Non andartene, Nova! Usa il tuo sangue, so che puoi guarire!”. Il Maestro Xehanort non le aveva risucchiato ogni potere, doveva convincerla ad aggrapparsi a quegli attimi di vita o l’avrebbe perduta per sempre. Le dita di lei allentarono la stretta, non fece in tempo a riprenderle e la mano le ricadde inerte su un fianco. “Ven … continua a credere nella pace. Finché ci sarà gente come te … non ci sarà bisogno di esseri come me …” Quelle furono le sue ultime parole. Il fragile corpo che il ragazzo stringeva tra le braccia si dissolse. Dapprima andarono in frantumi le braccia e le gambe, ridotti a piccole schegge dorate che si sparsero in ogni direzione. In pochi secondi non rimase più nulla, il corpo tramutato in una polvere che scintillava e brillava catturata dal vento. Rimase soltanto la Spada del Drago Diabolico, con la lama lucida e pulita, come se il sangue della ragazza fosse stato cancellato da un colpo d’ala; un globo di luce azzurra la avvolse, e lentamente iniziò a levitare verso l’alto. Ven ebbe un fremito ed allungò un braccio verso il cielo per afferrarla, ma quella volò in alto, oltre le sue dita, verso la divinità. “NOVA!” urlò. La sfera di luce diventò tutt’una con la Madre Drago, e la spada svanì tra le sue forme eteree. La creatura lanciò un ultimo ruggito di avvertimento ed aprì le ali, poi iniziò a dissolversi come un banco di nuvole durante una venteggiata. “NOVA! NOVA! NOVAAAAAAA!”
Epilogo
Le grotte erano buie e fredde, e la magia dei pochi demoni rimasti bastava a stento a scacciare l'oscurità dalle volte di pietra e a portare calore nei loro cuori affranti. Nemmeno nelle leggende Zaboera aveva mai letto di un tale periodo di crisi per il popolo demoniaco. I pochi messaggeri che avevano avuto l'ardire di esplorare la superficie riferivano sempre la stessa cosa: distese sterminate di rocce brulle e di morte, ovunque lo sguardo si posasse. E le radiazioni che contaminavano ogni cosa, l'aria, l'acqua, qualsiasi filo d'erba che avesse la sfrontatezza di provare a ricrescere. Non c'era più nulla per la famiglia demoniaca sulla superficie di Cephiro. Erano rimasti in pochi, tutti demoni minori, qualche licantropo, poche creature di altre specie: il glorioso esercito di Pharen era ridotto a poche centinaia di persone che non bastavano nemmeno a riempire la vasta sala sotterranea in cui erano radunati. Ovunque si voltasse Zaboera non vedeva che sguardi spenti, occhi bassi, volti scoraggiati. Le madri si stringevano al petto i figli, e persino i bambini non avevano la forza di piangere. Erano svuotati, privi di ogni energia. E presto anche la fame e il freddo avrebbero iniziato a farsi sentire. Da dietro una roccia vide emergere la figura di Pai. Aveva gli occhi arrossati per il pianto, come la maggior parte di loro; Zaboera non lo avrebbe mai creduto possibile, ma nel breve tempo in cui era stato escluso dal casato il capo e Sua Eccellenza Baan avevano stretto... no, forse non era lecito chiamarla amicizia, ma quanto meno avevano imparato a stimarsi a vicenda. E Pai aveva pianto il sacrificio del Grande Satana ancora più degli altri. “Capo... “ Pai ora era l'ultimo demone maggiore rimasto. D'ora in poi avrebbe portato un fardello veramente pesante sulle proprie spalle, completamente da solo. E io, il piccolo demone-gnomo Zaboera, sono tutto ciò che resta del suo casato... “Capo, le volevo chiedere ancora scusa per il mio comportamento. So di non valere granché, ma volevo farle sapere che... sono qui. Sono il suo leale servitore, ora e sempre. Rinnovo il mio giuramento di fedeltà nei suoi confronti. Stavolta non mancherò ai miei doveri.” “Sono io che devo chiederti scusa, Zaboera” Ho... ho sentito bene?! “Ti avevo giudicato troppo in fretta, e ho sottovalutato il tuo valore. Non ho dimenticato che hai salvato la vita del Grande Satana e la mia. Nel momento del bisogno hai saputo dimostrare dove stava la tua vera lealtà. Quando il glorioso regno dei demoni sarà ricostruito e riportato alla sua antica bellezza tu avrai una parte importante, un ruolo degno del valore che hai mostrato. Te lo prometto.” Zaboera non fece in tempo a dire neanche un semplice “grazie” che il capo si sollevò in aria, atterrando su uno sperone di roccia che sovrastava la sala sotterranea. Uno dopo l'altro gli sguardi dei demoni si raccolsero su di lui, imploranti, disperati. Zaboera non aveva idea di cosa esattamente si aspettassero da lui; ma era il generale Pai, il condottiero che li aveva guidati in battaglia e che aveva sconfitto gli umani da solo entrando nel leggendario stato berserk; era la speranza a cui tutti si aggrappavano con disperazione per non essere travolti dalla marea del dolore e della sconfitta. “Fratelli demoni” esordì Pai non voce forte e chiara. “Questo è forse il giorno più triste nella storia millenaria della famiglia demoniaca. Abbiamo perso tutto ciò che avevamo di caro al mondo: la nostra casa, i nostri figli, le nostre mogli, i nostri mariti, i nostri fratelli, i nostri capi casato, il nostro splendido regno. Per due volte in un tempo brevissimo abbiamo visto cadere i nostri Grandi Satana. Forse molti di voi penseranno che l'unica cosa che ci resta è una morte gloriosa: sollevarci tutti insieme un'ultima volta, volare sfidando l'aria satura di radiazioni e calare sui resti delle città umane per portare all'inferno con noi quante più possibile di quelle creature disgustose. Andarcene in una scintilla di gloria, com'è degno della famiglia demoniaca. Anche io lo pensavo fino a un giorno fa. Mi sono lasciato trasportare dall'istinto e accecare dal dolore, e se non fosse stato per il Grande Satana Baan oggi non sarei stato con voi a combattere quest'ultima battaglia. Per questo vi chiedo perdono, dal profondo dei miei cuori. Vi chiedo perdono per aver pensato anche solo un istante di abbandonarvi, e vi prometto che fino a che avrò vita e fiato una cosa del genere non si verificherà mai più! E' stato il Grande Satana Baan a farmi rinsavire: e il suo ultimo messaggio a me, a tutti noi, è stato un messaggio di speranza e di fiducia per il futuro! Il Grande Satana ha dato la sua vita per costruire un rifugio per noi, una nuova casa, un luogo dove curare le nostre ferite e ritrovare le forze per il futuro. Un luogo dove sopravvivere. Perché questo non è il momento di distruggere: è il momento di ricostruire. E' il momento di far rimarginare le ferite del corpo e dell'anima, di riedifcare le nostre case, di educare i nostri figli, di moltiplicarci, di diventare più forti, di lavorare per il futuro. Gli umani ci credono sterminati, e qui saremo al sicuro da ogni cataclisma che affliggerà la superficie di Cephiro. E quando saremo di nuovo numerosi, quando il nostro regno avrà riacquistato gli antichi splendori... allora noi torneremo. E non per morire gloriosamente in battaglia, ma per vincere! Per sottomettere per sempre gli umani e impadronirci di Cephiro! Non sarà un cammino facile, e potrebbero volerci secoli, millenni, ma noi demoni siamo longevi, tenaci e pazienti, e io vi prometto, vi giuro sul mio onore che voi o i vostri figli vivrete per vedere il giorno glorioso in cui i demoni saranno i signori incontrastati dell'intera Cephiro!!” Zaboera guardava il capo con occhi incantati: sembrava pervaso da un fuoco sacro, e quando i demoni si alzarono in piedi per acclamare le sue parole anche lui si unì al coro di urla di gioia. Non si faceva illusioni, non sarebbero stato facile; i primi tempi, senza provviste di cibo e con tutti quei malati e feriti, sarebbero stati durissimi. Ma erano demoni, e non si sarebbero arresi. E Pai era con loro. Per lui sarebbe stata ancora più dura che per gli altri. Quasi quasi è più facile per chi muore. Chi muore non deve preoccuparsi più di nulla. Ma chi sopravvive resta solo con il dolore, e deve anche rimediare ai danni di ciò che è stato. “Il Grande Satana Baan ci ha dato ben più di un rifugio per vivere, ci ha dato una speranza per il futuro! Ed è per questo che oggi, come ultimo demone maggiore, salgo al trono con il nome di Grande Satana Baan, per ricordare per sempre il sacrificio del demone che ha regnato meno di tutti nella storia della famiglia demoniaca, ma che ha le ha donato la speranza e la possibilità di tornare agli antichi splendori!” Senza smettere di acclamare Pai i demoni piegarono il ginocchio all'unisono, rendendo onore al nuovo sovrano della famiglia demoniaca. “E noi non getteremo al vento questa possibilità! Tempi duri ci aspettano, ma io ho fiducia in voi, nella forza del nostro popolo e del nostro sangue. Questo è un giorno di dolore, ma non di sconfitta: da oggi ha inizio la nostra rinascita. E verrà il giorno in cui la famiglia demoniaca riavrà ciò che le spetta di diritto. Vendetta. Giustizia. Fuoco e sangue.”
-Sesto mese dell'anno II dopo la Catastrofe- Oggi sono tornati i membri della quarta spedizione e hanno riportato altri cinque sopravvissuti di Autozam, anche se due sono già malati a causa delle radiazioni e non hanno molte probabilità di cavarsela. Ancora nessuna traccia della Maestra Aqua, dispersa dal giorno della catastrofe, e nemmeno dei demoni: temo, e il mio cuore sanguina mentre lo scrivo, che le testate nucleari di Autozam non abbiano risparmiato nessuno. L'antica e fiera razza demoniaca si è estinta per sempre da Cephiro. Autozam gioirebbe, se esistesse ancora. Gli Heartless l'hanno inghiottita del tutto, e nemmeno la sua straordinaria potenza bellica e alchemica è stata in grado di fermarli. Poi sono arrivati i draghi. Hanno lasciato tutti insieme le loro tane nelle inaccessibili montagne del nord, e sono calati sugli Heartless senza alcuna pietà, incenerendoli con il loro fuoco purificatore. Forse hanno obbedito a un ultimo ordine di Lady Nova, o forse hanno deciso che era ora di mettere da parte la loro neutralità e il loro isolamento per interessarsi dei problemi del mondo. Fatto sta che dopo aver distrutto ogni Heartless sulla faccia di Cephiro si sono ritirati da dove erano venuti, e nessuno li ha più visti. La vita qui procede tranquilla. Il nostro Castello, che un tempo era la città di Radiant Garden, è una piccola oasi di pace nel mezzo di un mare di macerie e distruzione. Siamo in pochi, ma non ci manca nulla, e ogni giorno partono spedizioni di ricognizione con tute antiradiazioni per cercare di riportare qui quanti più superstiti possibile. Qui per fortuna le radiazioni non arrivano: questo luogo è protetto dalla magia del Cavaliere del Drago. Malgrado la fortuna le cose di cui occuparsi sono comunque tante; e ammetto che alla mia età non ce la farei senza l'aiuto dei miei apprendisti e di Xehanort. Già, Xehanort. Non il maledetto alchimista che ha causato tutto questo, ovviamente. Dopo la morte di Lady Nova il giovane Terra ha riaperto gli occhi; quella che il Cavaliere del Drago ha imprigionato nelle fondamenta del Castello era la sua parte oscura, e il ragazzo che si è risvegliato sotto i nostri sguardi preoccupati non ricordava nulla del proprio passato, nemmeno il proprio nome. Quando gli ho chiesto come si chiamava “Xehanort” è stata l'unica risposta che è stato in grado di dare, anche se nemmeno lui ne conosceva il significato. E non lo conosce nemmeno adesso. Non gli abbiamo raccontato nulla, né abbiamo intenzione di farlo. Ora in lui non c'è più oscurità, ed è giusto che viva la sua vita serenamente. Anche il suo aspetto, dopo la separazione dalla parte oscura, è cambiato: ora ha i capelli argentati e gli occhi color ambra. Ha dimostrato un'ottima propensione per la chimica e la medicina, e lo sto addestrando personalmente. Abbiamo bisogno di gente preparata e competente per costruire un nuovo futuro per Cephiro. In un mondo che è precipitato nella barbarie, noi ora siamo gli unici depositari del sapere e della memoria. Xehanort e gli altri giovani sono la nostra speranza, coloro che forse un giorno potranno edificare un mondo nuovo. Per ora possiamo solo aspettare e rimarginare le ferite. E sperare.
Re Ansem
Il Padre era furioso. Il Portale dell'Alchimia era suo. Il potere del Cuore dei Mondi obbediva alla sua volontà. All'interno del mondo senza tempo del Portale, una terra che si trova in tutti e in nessun luogo, il Padre era il signore e padrone indiscusso. Immortale e onnipotente. Ma solo lì dentro. E non poteva uscire. L'homunculus osservò il suo creatore. Non lo aveva mai visto in quello stato: era abituato a vederlo calmo, sicuro di sé, ma l'uomo che aveva davanti gridava insulti e bestemmie al cielo senza stelle di quel luogo oltre lo spazio, e buttava all'aria ogni oggetto che gli capitasse a tiro. Il Portale aveva accettato i suoi doni e gli aveva concesso il potere, ma aveva preteso un ulteriore prezzo in cambio, un prezzo che il Maestro Xehanort non aveva calcolato: la sua anima e il suo corpo. Ora il Padre era parte del Cuore dei Mondi. L'homunculus fece un passo avanti, emergendo dalle ombre, e solo allora il Padre si accorse della sua presenza. “Tu.. !” aveva gli occhi sgranati dallo stupore. “Come hai fatto a entrare in questo posto... ? Non è consentito a nessuno... a meno che... “ Senza una parola l'homunculus si inginocchiò di fronte al Padre ed evocò la sua nuova arma. Aveva scoperto da poco di esserne capace. Sapeva che gli umani la chiamavano Keyblade, e che aveva il potere di aprire l'accesso al Cuore dei Mondi per chi ne fosse il padrone. Non per il Padre, quindi. Ma per lui, per l'homunculus, sì. L'avrebbe messa al servizio del Padre perché il Padre era l'unico in grado di dargli ciò che finalmente lo avrebbe reso un essere completo: l'anima. Il Padre sorrise.
Aqua fissava il tramonto dalla porta della sua capanna di legno. Il sole tingeva di arancione le cime innevate dei monti mentre le ombre si allungavano nella vallata punteggiata dalle modeste abitazioni dei profughi. Cominciava a fare freddo: l'inverno sarebbe arrivato presto, ma stavolta la piccola comunità era molto più preparata ad affrontarlo rispetto all'anno prima. Vivevano lì da quattro anni, lei e la manciata di superstiti di Autozam scampati agli Heartless e al fuoco dei draghi che aveva ridotto gli imponenti grattacieli della città degli uomini a un mucchio di lamiere fumanti. Un ex pilota civile li aveva guidati verso quel piccolo paradiso circondato dalle montagne, il più lontano possibile dalla nube radioattiva che si sprigionava dai campi senza vita di Pharen. Ne erano morti parecchi nei primi tempi, per la fame, le ferite, e perché era difficile per gli abitanti della civilizzata Autozam sopravvivere senza l'aiuto delle tecnologie su cui erano abituati a fare affidamento per ogni minima necessità. Vivevano coltivando e cacciando, come nei tempi antichi. Le poche armi al plasma in loro possesso si erano scaricate dopo pochi giorni, l'elettricità sembrava un miraggio di tempi lontani, non c'era alcun modo per comunicare con l'esterno. Aqua non sapeva nemmeno in che direzione si trovasse Radiant Garden, se ancora esisteva, e comunque a piedi e con il pericolo delle radiazioni sarebbe stato un viaggio insostenibile. Ven e gli altri amici le mancavano immensamente, e spesso la notte non dormiva turbata dal pensiero di cosa potesse essere accaduto loro. Ma lei ormai apparteneva a quella gente, a quella piccola comunità di poco più di cento anime che ogni giorno lottava per reclamare il proprio diritto a sopravvivere. Quelle persone, i suoi compagni avevano bisogno anche di lei. E non solo loro. “Mamma!” quel gridolino gioioso la distolse dai suoi pensieri cupi, strappandole un sorriso. Suo figlio la raggiunse sulla soglia di casa con la sua camminata ancora traballante, raggiante di felicità. “Mamma, guarda, ho ritrovato il cavallino!” e agitava tutto contento il piccolo cavallo di legno che il falegname aveva intagliato per lui l'anno prima. Era il primo nuovo nato della comunità, e tutti lo adoravano e gli facevano piccoli regali anche quando non se lo sarebbero potuti permettere. “Oh, bravo, e dov'era?”. Il piccolo le saltò in braccio, e Aqua ancora una volta non poté fare a meno di notare con tenerezza quanto somigliasse al padre. Diventerà generoso e forte come te, Eagle. Aqua sorrise, e abbracciò con dolcezza il suo meraviglioso bambino dagli occhi azzurri.
F I N E
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... puff, pant, ce l'abbiamo fatta!!! Fateci sapere cosa ne pensate
p.s. flex, appena ho un attimo di tempo commento il capitolo finale della tua, promesso |
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