| | Ok, ragazzi, mi autodoppioposto per poter tirare fuori dal cappello a cilindro il quarto capitolo del contest annuale targato White&Lis (da qui capirete quanto possano essere sproporzionati i nostri cappelli a cilindro). Un capitolo particolare, in cui emergono le prime mosse politiche che condurranno al fulcro della vicenda e che guideranno i sentieri dei nostri eroi, con uno sguardo più umano verso la famiglia demoniaca e una strizzata d'occhio agli arditi piani di MX! Se non vi torna qualche conto chiedete pure!
Capitolo IV: A Clash of Wills
“Non è stato lui.” Lo aveva ripetuto almeno dieci volte negli ultimi cinque minuti. Chiunque non la conoscesse bene avrebbe visto solo rabbia negli occhi viola della signora dei demoni, rabbia e sdegno senza fine; ma Baan era suo marito, e aveva scorto la preoccupazione celata dietro la sua fronte corrugata, la paura nel tremito delle mani strette convulsamente attorno alla stoffa del vestito. Superò la distanza che li separava e strinse Nehellenia tra le braccia, affondando il viso nei suoi morbidi capelli del colore della notte. Amava gli istanti in cui erano completamente soli, perché almeno per poco potevano smettere la maschera del Grande Satana e del suo Consorte ed essere semplicemente marito e moglie, giovani, felici, innamorati. Ma stavolta il dovere chiamava, e dallo sguardo preoccupato dell'attendente che li aveva svegliati nel cuore della notte avevano capito subito che c'erano cattive notizie in arrivo. Erano stati ottimisti: le notizie erano pessime. “Io lo so che non è stato lui, Baan.” “Non è me che devi convincere Nelly, ma gli oligarchi.” “Gli oligarchi sono morti nell'esplosione. Tutti quanti. Ma il governo provvisorio di Autozam non ha perso tempo. Vogliono processarlo, Baan, quando secondo tutti i trattati internazionali spetterebbe a noi! E anche se non hanno nessuna prova io so che già lo considerano colpevole...” Al loro posto lo penserei anch'io. “Tuttavia il suo comportamento vergognoso e sconsiderato li ha indotti a crederlo. In parte la colpa è anche sua.” E nostra, per essere stati così pazzi da assegnare proprio a lui una missione del genere. “Lo so. Ma non ho intenzione di abbandonarlo al suo destino. La famiglia demoniaca protegge tutti i suoi membri.” “Non volevo dire questo, Nelly...” Lei si sciolse dall'abbraccio e prese a camminare su e giù per la camera da letto, i pugni serrati, lo sguardo concentrato. L'attimo di debolezza era passato. Ora la moglie amorevole era sparita, e al suo posto restava solo l'indomita e forte regina dei demoni. “Se non altro sono riuscita a ottenere che Kisshu venga processato a Pharen. Dovrebbe tornare tra non molto, e ci racconterà la sua versione dei fatti. Magari saprà indicarci qualche possibile testimone, un alibi... ogni dettaglio è di vitale importanza. Qui non è in gioco solo l'onore di Pai, ma quello dell'intera famiglia demoniaca... e ancor peggio, tutto il nostro progetto di collaborazione e convivenza pacifica con gli umani.” “E Re Ansem? Hai parlato con lui?” “E' la mia speranza più grande. Autozam ha sempre dato ascolto a lui molto più che a noi. Mi ha promesso che tenterà di mediare per ottenere che Pai venga processato da una giuria composta in egual numero da nostri rappresentanti e loro. E soprattutto per aprire una commissione d'indagine sull'incidente. Autozam potrà anche pensare di aver catturato il colpevole, ma i veri responsabili sono ancora là fuori da qualche parte, e la cosa mi preoccupa molto più di quanto io stessa non voglia ammettere. Dopo questa esplosione di violenza gli Heartless sono aumentati a dismisura ad Autozam.” E anche questo in parte è colpa di Pai. Con il suo odio per gli umani e la sua arroganza potrebbe nutrire un intero esercito di quelle creature. Pai era l'incarnazione stessa dei sentimenti negativi. Da quando lo conosceva Baan non lo aveva visto sorridere... no, non lo aveva visto soddisfatto nemmeno una volta, né aveva mai scorto qualcosa di diverso dal disprezzo e dallo sdegno nei suoi gelidi occhi scuri. Anche quando entrambi avevano rivaleggiato per la mano di Nehellenia e il ruolo di Consorte... a Baan non importava nulla né del potere né del rango, si era fatto avanti per il puro e semplice motivo che amava Nehellenia e non sognava altro che trascorrere la propria vita al suo fianco. Ma Pai? I discorsi con cui aveva perorato la sua causa parlavano di purezza del sangue, del prestigio del suo casato, di onore, lealtà, devozione, tradizione. Ma mai di amore. Probabilmente Pai non era capace di amare nulla a parte i suoi ideali astratti e ammuffiti e il suono della propria voce. “Ho scelto te perché sei capace di sorridere” gli aveva detto Nehellenia poco dopo il loro matrimonio. “E soprattutto di far sorridere me.” Pai lo aveva preso come un affronto terribile e da allora non aveva fatto altro che spargere maldicenze sul suo conto, ma a Baan non importava. Per Nehellenia sarebbe stato disposto a pagare un prezzo mille volte più alto. Un Occhio di Zaboera si avvicinò svolazzando a sua moglie. Lei lo accarezzò sulla testa e sui tentacoli, e la creaturina trillò soddisfatta. “Che notizie ci porti, piccolino? E' Re Ansem?” La pupilla del grosso globo oculare al centro dei tentacoli sparì e fu sostituita dall'immagine di una stanza dalle pareti di metallo, con in mezzo un tavolo circolare al quale sedevano diverse persone dagli inappuntabili completi neri. Il governo provvisorio di Autozam... L'unico umano in piedi guardava verso di loro attraverso l'altro Occhio di Zaboera, e la sua espressione accigliata non prometteva nulla di buono. “Grande Satana” esordì l'uomo, senza salutare né presentarsi. “Ci sono delle immagini che dovrebbe vedere.” Prima che Nehellenia potesse rispondere la scena al centro del globo cambiò, mostrando un'inquadratura delle strade di Autozam. Baan trattenne il fiato per l'orrore. L'audio non c'era, ma le facce terrorizzate degli umani che scappavano in tutte le direzioni si vedevano benissimo. Così come le esplosioni, le macerie, i cornicioni dei palazzi che crollavano... e i demoni. Almeno una ventina, feroci, spietati, le mani scintillanti per gli incantesimi che scagliavano senza sosta contro tutto e tutti... “Ma chi diavolo...?” E poi l'inquadratura si strinse su un demone più giovane degli altri, un ragazzino di nemmeno cent'anni che con la magia stava tracciando dei segni sui resti di un muro. Quando ebbe finito si allontanò di qualche passo per contemplare l'opera, poche lettere che brillavano di una sinistra luce rossastra: PAI REGNA. Madre Drago, salvaci tu... L'immagine sparì, sostituita di nuovo dal volto dell'uomo vestito di nero. “Credo che lei ci debba delle spiegazioni, Grande Satana.”
Lo spiegamento di forze intorno alla prigione del capo era impressionante. Lo avevano rinchiuso nei sotterranei di un grattacielo, in una specie di pozzo metallico dalle pareti lisce e profonde, sorvegliato da telecamere, protetto da scudi e barriere antimagia, pattugliato da interi battaglioni di soldati e da macchine bizzarre di cui Kisshu non conosceva né lo scopo né il funzionamento. Sapeva solo che dovevano essere terribilmente pericolose. “Tre minuti, non di più” lo avvertì uno dei soldati, facendogli cenno di salire su una piccola piattaforma quadrata. Kisshu obbedì, e la guardia digitò un comando su un aggeggio pieno di numeri che sporgeva dalla parete; subito la piattaforma iniziò a muoversi lentamente verso il basso, superando una lunga serie di barriere metalliche che si aprivano per permettergli di passare e si richiudevano immediatamente dopo con schianti poderosi che facevano rimbombare tutte le pareti del pozzo. A Kisshu sembrava di discendere in un inferno di acciaio. Sul fondo lo attendevano altri soldati, che lo scortarono per una lunga serie di portoni blindati, ciascuno più imponente e difeso dell'altro. Hanno una paura matta di lui. E fanno bene... Aveva dovuto pregare e supplicare per ottenere un'ultima visita al capo prima di lasciare Autozam. Erano venuti nella sua cella solo poche ore prima per comunicargli che lo rimandavano a Pharen, “dove sarai processato e giudicato da quelli della tua razza”, gli aveva detto un soldato, calcando con notevole disprezzo la parola “razza”.. “E il capo?” “Quel pazzo furioso?” il soldato aveva riso, una risata dura e cattiva. “Tu sei un pesce piccolo, ma se la tua regina vuole riavere lui sarà meglio che venga a supplicarci in ginocchio. Quel bastardo ha ammazzato troppa gente per cavarsela con uno dei vostri processi farsa. No, lui resta qui, e prima lo spediscono davanti al plotone d'esecuzione e meglio sarà.” Se non fosse intervenuto il comandante Eagle Vision probabilmente non gli avrebbero mai concesso di vedere Pai. Eagle era diverso dai suoi sottoposti, l'unico che lo trattasse se non gentilmente almeno nel rispetto della sua dignità. Eagle vede me e il capo come creature sue pari, si rese conto improvvisamente. Per gli altri siamo solo bestie feroci, esseri pericolosi, da rinchiudere. E dopotutto... anche noi, al loro posto, li avremmo trattati così. Ma se tutti la pensassero come Eagle e come il Grande Satana Nehellenia, allora forse... Scosse la testa, rifiutandosi di continuare il pensiero. Se il capo mi sentisse adesso mi farebbe fare la fine di Zabo... Finalmente lo fecero fermare davanti a una porta più piccola delle altre, circondata da bocche di armi da fuoco automatiche fissate ai muri e puntate tutte in direzione dell'entrata. “Tre minuti” gli ricordò uno dei soldati, per l'ennesima volta. “Dopodiché ti portiamo fuori a forza.” Lo lasciarono entrare da solo e la porta si richiuse subito alle sue spalle. La cella era piuttosto piccola, le pareti grigie e perfettamente lisce, senza nemmeno una finestra né un mobile di qualunque tipo. Pai sedeva sul pavimento, la schiena appoggiata al muro e i polsi bloccati da manette. Quando alzò lo sguardo su di lui Kisshu rabbrividì per la furia senza confini che vide nei suoi occhi. Doveva fare presto. Frugò in tasca e trovò l'oggetto che desiderava; senza tirarlo fuori premette il pulsante, secondo le istruzioni di Zaboera, e attese. Pochi secondi dopo l'oggetto vibrò contro il palmo della sua mano. Solo allora osò parlare: “Capo...” “Kisshu, io ardo di sde....” “Capo, la prego, ho solo pochi minuti. Mi ascolti attentamente.” Trasse il piccolo oggetto dalla tasca e lo mostrò a Pai, tenendolo alto sul palmo della mano. Non era altro che un piccolo ammasso di pezzi di metallo e fili di vari colori, ma quell'apparecchio all'apparenza insulso erano riposte tutte le loro speranze. “Questo annulla per poco tempo gli scudi antimagia intorno quest'area. E anche le telecamere” “Come lo hai...” “Rubato a una guardia.” tagliò corto Kisshu. Si vergognava a mentire al capo, ma lui non avrebbe mai accettato di usarlo se ne avesse scoperta la vera origine.“Non dura a lungo però, perciò non ce faremo mai a evadere in due, fuori ci sono troppi strati di difese. Lanci un incantesimo di illusione su di noi. Scambiamoci di ruolo. Io posso restare qui a marcire, ma lei è troppo importante. Gli umani vogliono condannarla a morte, capo. Scappi via finché è in tempo!” Stavolta Pai non protestò. L'ira sparì dal suo sguardo, sostituita da una fredda determinazione. Non più limitato dallo scudo antimagia spezzò le manette con un semplice movimento dei polsi, e Kisshu sussultò lievemente quando lo vide poggiare una mano sulla sua spalla; per i suoi standard era una forte manifestazione d'affetto, come tra umani poteva essere un abbraccio. Si sentì onorato, e commosso. “Verrò a riprenderti, Kisshu.” disse semplicemente. “Hai la mia parola.” “Capo, io...” Le parole gli si strozzarono in gola mentre davanti ai suoi occhi la figura del capo sfarfallava come la superficie di un lago increspata dal lancio di una pietra: l'incantesimo di illusione stava facendo effetto. Pochi secondi dopo Kisshu si ritrovò a fissare una copia identica di se stesso. “Faccia attenzione, capo.” Le sue dita stringevano convulsamente l'ultimo dono di Zaboera. Si era sentito in colpa per aver voluto incontrare un'ultima volta l'amico prima della partenza da Radiant Garden. Aveva coscientemente disobbedito agli ordini del capo, e se ne vergognava. Era stato un incontro rapido e fugace, solo per dirsi addio. Se ne stava già andando quando Zaboera gli aveva messo in mano quel misterioso congegno, pregandolo di portarlo con sé. “L'ho inventato io.” aveva detto. “Anche se il capo mi ha bandito io resto uno di voi, e voglio esservi utile. Questo vi potrà servire se avrete bisogno di infiltrarvi da qualche parte. Conoscendo quelli di Autozam non si sa mai.” Tutto sommato stavolta non aveva fatto male a disobbedire. Grazie, Zabo. Quando tutto questo sarà finito proverò a chiedere al capo di farti tornare. Te lo prometto. Pai aveva raggiunto la porta. Si girò un'ultima volta, salutandolo con un cenno del capo. I suoi occhi scuri erano carichi di determinazione, e Kisshu in quel momento seppe che il capo avrebbe attraversato fuoco e fiamme per venirlo a salvare. Trattenne con tutte le sue forze le lacrime che stavano per sgorgare dai suoi occhi. Lui era Pai adesso, demone maggiore di uno dei casati più antichi di Pharen, e il vero Pai non avrebbe mai pianto in un luogo che non fosse stato almeno mille miglia distante da occhi e orecchie umane.
Anche senza percepirlo con la magia Baan capì subito che il demone che aveva appena fatto irruzione nella loro stanza non era il vero Kisshu. Troppo impetuoso, troppo furibondo... troppo rumoroso. Nehellenia fece un gesto con la mano e l'illusione svanì pian piano, rivelando sotto le spoglie del piccolo Kisshu il cipiglio cupo e sdegnoso di Pai. Doveva aver volato superando la velocità del suono, perché aveva il fiato corto e dovette appoggiarsi al muro per non collassare a terra. Nehellenia gli era corsa incontro: “Stai bene?” Lui fece cenno di sì, boccheggiando, e Baan decise che aveva visto troppo: “Che ci fai TU qui?? Come osi farti vedere dopo tutto quello che...” Pai lo ignorò, come suo solito. Piegò il ginocchio di fronte a Nehellenia e in poche, concise parole le fece un resoconto di quanto accaduto. Incredibile, pensò Baan mentre ascoltava il racconto, è un invasato, eppure i suoi seguaci sarebbero pronti ad attraversare l'inferno a piedi scalzi per lui. E chi è più pazzo, il pazzo o i pazzi che lo seguono? Ogni demone era legato per la vita e per la morte al proprio capo casato, ma i seguaci di Pai superavano ogni limite. E quel che è peggio, non pensavano affatto alle conseguenze. Hanno preso da lui, non c'è dubbio. “Dobbiamo tornare a prendere Kisshu, mia signora. Lo uccideranno. Dobbiamo tornare in forze a Autozam e...” “DOBBIAMO, Pai?!!?” Ogni traccia di comprensione era sparita dal volto di Nehellenia. Baan indietreggiò istintivamente di qualche passo. Quando quei due si scontravano era meglio fingere di essere un elemento del paesaggio e pregare che la tempesta passasse presto. “Tu presumi troppo! Non ti basta il disastro che hai già combinato?! I membri del tuo casato hanno fatto il tuo stesso ragionamento e ora siamo ai ferri corti con Autozam. Si sono presi un'iniziativa che non era loro concessa!!” Pai sgranò gli occhi e dimentico di ogni convenzione scattò in piedi, la sua aura magica incandescente come un vulcano in eruzione: “COSA?! Cos' hanno fatto i miei demoni?! Se hanno mancato di rispetto alla sua magnificenza Grande Satana giuro sul mio onore che li scuoierò con le mie mani centimetro per centimetro e getterò le loro miserabili carcasse in....” “TACI, Pai!! E ASCOLTA! I tuoi demoni hanno seminato il panico per le strade di Autozam in tuo nome. Più di trenta persone innocenti sono state brutalmente uccise. Donne, bambini, hanno colpito in modo indiscriminato, in modo DISONOREVOLE, Pai, indegno di te e degli ideali che tanto professi!!” “Io... io non ho mai ordina...” “TI HO DETTO DI TACERE!” Quando Nehellenia si infuriava in quel modo faceva paura persino a lui. “Ora i tuoi fanatici seguaci si sono ritirati, minacciando Autozam di tornare entro un paio d'ore se non ti libereranno. Mi sono messa in contatto con loro e hanno rifiutato di obbedirmi. Al mio posto un altro Grande Satana avrebbe voluto le loro teste e la tua, te ne rendi conto, vero?” “La mia vita appartiene a lei, Grande Sat...” “Pai se non taci giuro che se non la testa almeno la lingua te la faccio cavare. E' il minimo che meriteresti dopo tutto quello che le tue sparate arroganti e infantili hanno causato!” “Me la strapperò di bocca con le mie mani se è quello che lei desi...” “PAI!!!” Il viso stravolto di Nehellenia fu attraversato dalla tipica espressione vorrei-sbattere-la-testa-contro-il-muro che caratterizzava ogni sua lite con Pai. E probabilmente un muro avrebbe ceduto molto prima della granitica, adamantina, inossidabile testardaggine del demone più arrogante che si fosse mai visto a Pharen da millenni. “Fermali” ordinò infine la regina dei demoni. “Sei l'unico che può farli ragionare. Niente spargimenti di sangue, ma assicurati che nessuno di loro metta più piede a Autozam e puniscili come meritano. E ora vai!” Appena Pai fu volato via Baan si ritrovò a ringraziare la Madre Drago per il silenzio che era sceso sulla stanza. Meraviglioso, rilassante benefico silenzio. “Dovresti punire anche lui” disse infine Baan. “Levargli il casato, magari, e mettere il povero Zaboera al suo posto.” “Pai sarà punito, certo, ma solo per il comportamento increscioso che ha tenuto con gli oligarchi. L'esplosione della villa e l'attacco dei demoni non sono sue colpe.” “Il capo di un casato deve rispondere dei crimini dei suoi sottoposti, lo sai meglio di me Nelly.” “Ma lui non era in grado di fermarli in quel momento.” “E loro non si sarebbero mai comportati così se lui non avesse riempito loro la testa con le sue idee sanguinarie ed estremiste! E anche solo il modo in cui ha trattato gli oligarchi... se avesse trattenuto la sua stramaledettissima lingua seminatrice di discordie nessuno lo avrebbe accusato di nulla!” Nehellenia non rispose. Baan sospirò. “Sei sempre troppo indulgente con lui, Nelly.” Nehellenia era una sovrana paziente, raramente perdeva le staffe con qualcuno dei suoi sottoposti. L'unico che la faceva infuriare oltre ogni dire era Pai. Eppure non lo aveva fatto punire nemmeno una volta. “Ne parleremo in seguito.” disse infine lei, e il tono era definitivo. “Ora abbiamo cose più importanti di cui occuparci.” Come se le avesse letto nel pensiero, un secondo Occhio di Zaboera si avvicinò trillando con insistenza: “Pipu, pipu, pipu!!” L'ennesimo carico di notizie pessime. Al centro del globo apparve l'immagine di un umano dalla barba bionda con un indosso un camice e un maglione rosso poggiato sulle spalle. “Re Ansem. Lei è la nostra speranza in quest'ora buia, non sa quanto le siamo grati per il suo aiuto.” L'anziano re umano sorrideva cordialmente, ma il suo volto era teso e persino le sue rughe sembravano più profonde e scavate del solito. Si sta chiedendo come dirci qualcosa che non ci farà affatto piacere. “Grande Satana. Mi duole informarla che dopo l'attacco dei fanatici le trattative con Autozam stanno diventando ancora più ardue. Ho fatto il possibile, ma...” “Ma...?” Nehellenia prese l'Occhio tra le mani, stringendolo forse più del dovuto. La creaturina emise un piccolo trillo soffocato, e lei la lasciò andare. “A nessuna condizione intendono rilasciare il vostro ambasciatore Pai. Su questo sono stati inamovibili. Lo processeranno non appena saranno eletti i nuovi oligarchi... e sarò franco, Grande Satana, ma la condanna a morte è l'esito più probabile.” Già, credono ancora di avere tra le mani il vero Pai... “C'è dell'altro, vero Re Ansem?” Nehellenia parlava in tono neutro, cercando con tutte le forze di celare le proprie emozioni, di mantenere il proprio viso imperscrutabile. Per gli umani, o almeno per alcuni di essi, era molto più semplice: erano capaci di mentire con il riso sulle labbra, di simulare allegria dopo la più cocente delle delusioni, di far sgorgare lacrime dai propri occhi mentre in fondo all'anima esultavano di gioia segreta. La prima volta che Baan aveva assistito a uno spettacolo umano al Gran Teatro di Radiant Garden era rimasto senza parole, ed era uscito dalla sala con le lacrime agli occhi e i cuori che battevano per l'emozione: sembrava tutto così vero. Gli attori demoni erano giullari da quattro soldi in confronto alla maestria dei loro colleghi umani. I demoni erano spontanei, i loro volti erano lo specchio delle loro anime, libri aperti dei loro sentimenti. Molti erano semplicemente incapaci di mentire. Alcuni di loro, come Pai, provavano orgoglio per questa caratteristica, e disprezzavano quelle che chiamavano l'ipocrisia e la doppiezza degli umani. Ma da quando era entrato in politica Baan si era reso conto che il loro vanto poteva trasformarsi in una pericolosissima debolezza. “Siamo gli esseri più nobili e antichi di Cephiro”, dicevano quelli come Pai. Forse la verità era semplicemente che erano i più semplici e primitivi, i meno evoluti. Quelli che non riuscivano a stare al passo con i tempi e i cambiamenti del mondo. Era fortuna che Re Ansem fosse disposto a intercedere per loro. “Vogliono dei risarcimenti per i loro morti, Grande Satana.” disse il sovrano di Radiant Garden. “E non oro o ricchezze, ma territori. L'area della Foresta dei Licantropi, proprio sul confine tra voi e Autozam.” Casualmente uno dei territori più ricchi di risorse di tutta Pharen... mi viene quasi da pensare che siano contenti di tutto il disastro che è successo... “I loro morti non sono tutti causa nostra. Pagheremo per le vittime dei demoni di Pai, ma non hanno prove per quanto riguarda l'esplosione della villa.” “Sono convinti di non averne bisogno, mia signora. Ma forse c'è una speranza. Il Maestro Xehanort, uno degli alchimisti più influenti di Autozam, è da decenni un buon amico di Radiant Garden e del nostro Maestro Eraqus. Ha promesso che si occuperà personalmente delle indagini sull'attentato alla villa di Pegasus, e coinvolgerà tutti gli alchimisti ai suoi ordini. Dobbiamo sperare che scopra qualcosa che scagioni il vostro ambasciatore e faccia ragionare gli oligarchi. Io inoltre ho ventilato loro che potrei essere disposto a cedere a Autozam i brevetti di alcune invenzioni mie e dei miei apprendisti in cambio di un alleggerimento delle condizioni nei confronti di Pharen.” “Re Ansem, questo... noi non possiamo accettare, un debito tale...” Ansem sorrise, liquidando le obiezioni di Nehellenia con un gesto cortese: “Even e gli altri hanno brontolato un po', ma sono tutti d'accordo. E' per la pace di Cephiro, Grande Satana. Nessun sacrificio è troppo gravoso.” “Non ho parole per ringraziarla, Re Ansem. Quando tutto questo sarà finito le do la mia parola che Pharen non dimenticherà la generosità di Radiant Garden. Ricompenserò personalmente ciascuno dei suoi apprendisti. Porti loro i miei più sentiti ringraziamenti sin da ora.” La conversazione terminò con l'ennesimo scambio di convenevoli. Baan però non seguì le ultime parole di Re Ansem; il suo orecchio era stato catturato da un rumore sordo in lontananza, come un tuono o una frana. Si faceva sempre più vicino. Non era un tuono. Peggio, era Pai di ritorno, che sfrecciava oltre il muro del suono nella loro direzione. Pochi secondi dopo lo videro entrare dalla finestra e gettarsi ai piedi di Nehellenia. “E' fatto, mia signora. Quei traditori non fanno più parte del mio casato. Li ho banditi.” E così ora l'antico e glorioso casato di Pai è composto solo da lui e Kisshu. La punizione era grave, ma i seguaci di Pai l'avevano meritata. “Non dobbiamo più temere colpi da parte loro.” “Bene, Pai.” Nehellenia gli fece segno di rialzarsi. “Ora voglio che tu torni al tuo palazzo e ti chiuda lì dentro fino a nuovo ordine. Non tentare colpi di testa. Nessuno deve sapere che il vero Pai è libero.” “Mia signora, dobbiamo tornare a prendere Kisshu. Lo uccideranno. Non possiamo lasciarlo...” “PAI.” stavolta l'altro demone si zittì subito. “Non ricominciamo con questa storia, per favore. Di Kisshu mi occuperò io, ma con le trattative e la diplomazia, non con la violenza. Ti prometto che non lascerò nulla di intentato. Ma tu hai causato già abbastanza problemi. Ora vai, fuori dalla mia vista Pai. Non una parola di più.” Pai aprì di nuovo la bocca, ma lo sguardo di Nehellenia lo congelò sul posto. Chinò la testa, i pugni stretti in segno di frustrazione e l'aura magica in subbuglio. Infine volò via senza voltarsi indietro. Nehellenia lo seguì con lo sguardo finché non divenne un puntolino minuscolo all'orizzonte. “E adesso?” chiese Baan. Si sentiva esausto, svuotato, e Nehellenia doveva stare molto peggio di lui. Tutta la responsabilità gravava sulle sue spalle. “Adesso chiamo Nova” rispose lei. “Intendo mandarla a Autozam a trattare con il nuovo governo.” “Lei?” Baan era perplesso. “D'accordo, è la nostra diplomatica migliore, ma gli oligarchi non avranno voglia di trattare con un demone. Credo che Re Ansem sia la nostra speranza migliore.” “Re Ansem ci sta dando un aiuto immenso” convenne Nehellenia. “Ma Nova potrebbe riuscire in ciò che anche per lui è impossibile.” si appoggiò al davanzale della finestra, continuando a fissare il punto in cui era sparito Pai: “E non ci riesce lei, probabilmente non ci riuscirà nessuno.”
“Ma guarda quel bastardo! Abbiamo fatto proprio bene a dargli il lassativo!” fece Braig, trangugiando la seconda bottiglia di birra della serata. Zaboera non capiva come una cosa dall’odore così disgustoso potesse piacere agli umani. Purtroppo però i suoi pensieri tornarono all’ologiornale: erano tutti lì dentro, tranne Aeleus che era di scorta con il re, e fissavano l’immagine tridimensionale che mostrava la devastazione avvenuta ad Autozam non più di poche ore prima. Non riusciva a credere ai suoi occhi. La scritta PAI REGNA era sempre al centro di tutti i servizi, ed i giornalisti di Autozam facevano a gara per riprenderlo, qualcuno era riuscito a filmare da lontano alcune scene dell’attacco ed il piccolo demone aveva riconosciuto in quella furia di sangue e magia diversi demoni del suo vecchio casato. “Non temere, Zabo, sappiamo che tu non sei come loro”. Non era quello il punto, ma come spiegarlo a Ienzo e agli altri? Il capo non avrebbe mai dato un ordine del genere, non quando era in missione diplomatica per conto del Grande Satana Nehellenia. E sono sicuro che non avrebbe mai fatto saltare in aria la villa degli oligarchi, non quando era in gioco la reputazione della nostra sovrana. Ma questo gli umani non lo capivano. Anche i suoi colleghi di Radiant Garden. Tutti avevano visto il capo furibondo ed alterco, pieno delle sue idee di grandezza della razza demoniaca e del suo sdegno, ma nessuno conosceva il suo onore. I suoi sottoposti avevano agito di loro iniziativa, ci si sarebbe scommesso entrambi i cuori. Pai lo aveva cacciato dal casato e la cosa lo faceva soffrire, ma era orribile vedere che nessun essere umano provava pietà per lui e lo considerava colpevole a priori. Liberò un sospiro e lasciò la stanza, ignorando le chiamate dei suoi compagni. Si era già chiuso nella sua camera quando udì il rombo di uno speeder che si avvicinava a gran velocità e che frenò con rumore davanti ai cancelli del tempio dei Custodi.
“Xehanort! Non ti vedevo infrangere tutte le norme del codice della strada dai tempi dell’accademia!”. “Eraqus” l’alchimista aveva il fiato corto per la corsa, ma rifiutò con insistenza la mano che gli veniva porta per scendere dal velivolo. Era scuro in volto “Dobbiamo parlare. Da soli”. Non gli piacque per nulla l’espressione sulla sua faccia, ma con un cenno della mano allontanò un drappello di studenti e dopo un’occhiata complice vide Terra radunare i ragazzi del primo anno e portarli nel salone comune. Attraversarono il tempio e solo quando chiuse a chiave la porta del suo alloggio personale Xehanort ritrovò la parola. “Eraqus, amico mio” fece, accasciandosi sulla poltrona “Vorrei non essere io a darti questa terribile notizia. Ma d’altra parte non vorrei che tu ne venissi a conoscenza ascoltando per caso uno di quegli odiosi ologiornali. Ecco perché sono venuto di persona”. “Xehanort, mi fai preoccupare, che cosa …” Il suo amico si strinse la testa fra le mani e la sua voce si ridusse ad un sussurro “Uno dei miei alchimisti ha riconosciuto Sora. Tra le vittime dell’attacco dei demoni ad Autozam”. Sora? La tazza di caffè che aveva preparato per il suo amico gli cadde tra le mani, e si accorse di non riuscire a staccare gli occhi dalla macchia scura che si diffondeva sul pavimento. “Ne sei sicuro, Xehanort?” “Non sarei qui, altrimenti” sentì l’amico sollevarsi e stringergli una mano intorno alla spalla “Appena l’ho saputo mi sono recato sul posto e … sono un mago anche io, Eraqus, so riconoscere gli incantesimi dei demoni quando ne vedo uno. Mi dispiace”. Il maestro si accorse di tremare e la mano gli scivolò nella tasca, dove trovò la lettera che il ragazzo gli aveva lasciato qualche giorno prima proprio nella sua stanza; cercò con tutte le forze di trattenere le lacrime.
Caro maestro Eraqus Siamo partiti in cerca di avventure. Quando Sora ritroverà il suo Keyblade torneremo. Non si preoccupi per noi, abbiamo tutto il denaro delle nostre paghette ed un po’ di cibo. Un grande saluto dai futuri Maestri del Keyblade.
Riku e Sora
“Riku non è tra le vittime” fu come se il suo migliore amico gli avesse letto nel pensiero “Ma ho distribuito la sua foto segnaletica a tutti gli alchimisti e ho fatto in modo che arrivasse anche al consiglio degli oligarchi. Troveremo almeno lui, vedrai”. “Lui … era così giovane, Xehanort … perché?” Non era sicuro che il suo amico potesse dargli una risposta. Aveva davanti agli occhi l’immagine dei due ragazzini dagli occhi azzurri che saltavano, gridavano e lo acchiappavano per la tunica, e l’unico pensiero era che sicuramente uno di loro non sarebbe tornato a casa. Aveva permesso che si allontanassero e non era riuscito a trovarli in tempo; le gambe gli tremarono. “Eraqus” il tono dell’alchimista si abbassò ancora “So che tu non vuoi più sentirne parlare ma … lo sai che quella soluzione è sempre aperta”. “NO” Non c’era bisogno che l’altro continuasse. Il Custode sapeva benissimo di quale soluzione stesse parlando. Non avrebbe intrapreso lo stesso sentiero due volte “Sai come la penso”. “Lo so, amico mio. Ma qualora ci ripensassi io sono a tua disposizione, non mi …” “No, Xehanort” si asciugò con rabbia una lacrima e fece appello a tutta la risoluzione che lo aveva guidato nel corso di quegli anni “Non commetterò quel peccato un’altra volta, e tu mi hai anche promesso che non ne avremmo mai più parlato! Certe cose è meglio che rimangano nell'blio. E adesso … credo di dover parlare con Ven. Quel ragazzo deve saperlo, ed anche i suoi genitori. Questa disgrazia è in parte colpa mia, e devo assumermene le responsabilità. Per quanto … per quanto faccia male”. “Lo so”. Il vecchio alchimista gli strinse la mano e con delicatezza gli fece scivolare la lettera via dalle dita, piegandola con cura ed appoggiandola sullo scrittoio. Non era un mistero che avesse voluto bene a quel ragazzo come ad un suo nipote “Lo so, non sarà facile”.
Quel pomeriggio anche il cielo voleva piangere. Non era il tempo adatto per far volare un’areonave, ma Eraqus sapeva di non poterlo negare al suo apprendista. Aveva cercato in ogni modo di prepararlo alla notizia e di prendere l’argomento alla lontana, ma le sue lacrime l’avevano tradito a metà del discorso ed aveva snocciolato al povero Ventus la verità in un modo fin troppo brusco e rapido. Lo aveva sostenuto per quanto aveva potuto, ma doveva ammettere con rabbia di non essere bastato nemmeno un po’, che invece di fargli coraggio aveva soltanto acuito la sua disperazione. Il giovanissimo maestro non aveva nemmeno cercato di trattenere il pianto, ma aveva organizzato immediatamente un volo per recarsi ad Autozam e portare il corpo del piccolo Sora a casa; il cielo era nero mentre il ragazzo caricava qualche effetto personale a bordo, scuro in faccia, mentre un paio di piloti reali si affaccendava per riscaldare i motori e consultare i centri aerei per la migliore rotta da seguire. Eraqus non aveva trovato altre parole per consolarlo e si era limitato a seguirlo e ad aiutarlo come meglio poteva, con l’odiosa sensazione di essere di troppo in quel piccolo universo sconvolto dal dolore. Avrebbe voluto partire con lui. Era così intento a fissare il piccolo globo di capelli biondi che si affaccendava per il cortile che si accorse della nuova arrivata solo quando lei scivolò con grazia al suo fianco. “Lady Nova, perdoni la mia distrazione”. “Non ha nulla di cui scusarsi, maestro Eraqus. Ho appena conferito con la mia sovrana, e vi porge le sue condoglianze per la vostra perdita”. La giovane demone non era priva di fascino; nonostante il cielo proiettasse soltanto un’ombra scura sulla città, i suoi occhi rossi ardevano come rubini, e l’amarezza che mostravano era genuina “La ricerca di Heartless a Radiant Garden non ha dato i frutti sperati, ed il Grande Satana ha deciso di inviarmi ad Autozam. Il comportamento di poche teste calde ha infangato l’onore della famiglia demoniaca ed è mio dovere far luce sull’avvenimento”. Si aggiustò con attenzione il lungo oggetto avvolto in fasce che portava dietro la schiena mentre lanciava occhiate tristi nei confronti di Ventus “Mi vergogno io stessa delle azioni della mia gente”. “La vergogna non basta”. Il passo di Terra lo sentì eccome. Con indosso porzioni della sua armatura di bronzo ed il Keyblade sguainato ed appoggiato sulla spalla, il ragazzo fece il suo ingresso da una porta del magazzino occidentale ed attirò l’attenzione di tutti. Non gli piacque l’espressione che correva negli occhi azzurri e nel modo in cui fremevano i muscoli della spalla. Si avvicinò a loro ed aggrottò le sopracciglia mentre scrutava dall’alto le sembianze dell’ambasciatrice “La vergogna non è sufficiente a ripagare la morte di persone innocenti. La morte di bambini”. Le diede le spalle e si portò davanti a lui nella posa del saluto, appoggiando l’estremità del Keyblade sul pavimento accompagnato da una profonda genuflessione “Maestro, mi permetta di accompagnare Ven. Se quei mostri dovessero attaccare di nuovo troveranno pane per i loro denti, glielo giuro. Nessuna madre dovrà più piangere come quella di Sora”. Terra … Non vi era bisogno di essere un maestro per leggere la rabbia che ribolliva dentro di lui e velava di fuoco il suo sguardo, specie quando fissava la demone al suo fianco. La mano stringeva l’elsa dell’arma in modo frenetico, e la forza di quella stretta sembrava mandare in frantumi tutte le ore di meditazione che avevano trascorso insieme. L’Oscurità ... è ancora presente in lui. Troppo. Non poteva allontanarlo da lui, non in un momento così delicato. L’equilibrio tra Luce ed Oscurità non era mai perfetto, né vi erano linee tracciate con un righello che delimitassero il loro confine; ed era della lieve sfumatura tra bianco e nero che aveva terrore. Si lasciò sfuggire un sospiro, poi appoggiò entrambe le mani sulle spalle dell’apprendista, cercando di calmarne la furia. “Comprendo il tuo dolore Terra ma no, non posso lasciarti partire”. “Ma maestro …” “Sei colmo di odio, ragazzo mio. L’Oscurità non ti ha abbandonato, e temo per te. Non voglio che il tuo desiderio di proteggere il tuo amico si trasformi in un proposito di vendetta”. “Sono in grado di controllarmi” gli rispose, pieno di testardaggine “Ma Ven è ancora sconvolto ed avrà bisogno di me. E cercherò anche Riku, non ne dubiti!” “Ho detto di NO”. Si accorse di non aver mai alzato la voce in quel modo nei suoi confronti. “Non sei ancora pronto, Terra. Hai bisogno di meditare ancora. Ven e l’ambasciatrice Nova sono più che in grado di risolvere questo problema da soli, e se necessario li farò affiancare da Aqua” si sforzò di addolcire la voce “I tuoi intenti sono nobili e li apprezzo, ragazzo mio, ma non permetterò all’Oscurità di avvolgerti ancora”. Accolse su di sé l’espressione amareggiata del giovane, che acconsentì con cenno del capo, ritirò l’inchino e si ritirò sbattendo la porta da cui era venuto con violenza, fermandosi un’ultima volta per scambiarsi un’occhiata poco amichevole con la demone. La situazione è peggiore di quello che credessi. Non volevo essere duro con lui, ma … Era per il suo bene. Non lo avrebbe abbandonato ai suoi desideri di vendetta. Era il suo maestro. “Maestro Eraqus, le do la mia parola che a Ven non accadrà nulla di male. È una brava persona ed ho molta fiducia in lui. Farò l’impossibile per riportarlo qui sano e salvo” si aggiustò i capelli mentre le prime gocce di pioggia iniziarono a bagnare l’avioporto “Lui e Sora”. Aveva cancellato l’espressione giocosa che aveva visto sul suo viso in quei giorni, mostrando delle fattezze risolute che ricordavano quelle del Grande Satana, bellissime ed austere; il maestro a quelle parole sospirò, sentendo rispecchiate le sue emozioni nel cielo grigio “Per riavere indietro Sora servirebbe un miracolo …” “Lei crede nei miracoli?”. Ma che domanda è questa? “No. Non credo” “Io invece sì” rispose lei, stringendo tra le mani il suo fagotto “È la mia specialità”.
Era la quinta volta che il Custode abbatteva il suo pugno sulla poltrona, con quel gesto tutto umano per allontanare la furia che avvolgeva la sua mente. Era più di un’ora che si era chiuso in quella stanza con il Padre che invece si era seduto su una sedia, mescolando con pigrizia l’ennesima tazza di caffè. “Lo sai che Eraqus è fatto così, Terra. È un grandissimo amico, ma quando si tratta dell’Oscurità sembra che indossi dei paraocchi. Per questo non si accorge del tuo talento”. “LO SO, MAESTRO XEHANORT, MA NON POSSO IGNORARE QUELLO CHE HANNO FATTO I DEMONI! SORA ERA UN BAMBINO, DIAMINE!” Il blob aveva imparato a scivolare in maniera discreta ed elegante da quando era stato portato a Radiant Garden, e la magia del Padre impediva a molti di essere visto. Dal suo angolo dietro la pendola osservò l’espressione del suo creatore, gli occhi carichi di tristezza e le labbra che disegnavano un sorriso strano. Le emozioni degli esseri umani. “Anche io mi sentirei più sicuro nel saperti ad Autozam, ragazzo mio. Forse c’è Oscurità in te, ma serve gente con i tuoi ideali, il tuo senso di giustizia e la tua giovane età …” fece, sollevandosi con voluta lentezza “Se fossi un Custode non me ne resterei qui con le mani in mano, per questo ti capisco. Eraqus sa essere davvero frustrante”. “ECCOME! IO SONO IL MIGLIORE QUI DENTRO E MI LASCIA A MEDITARE COME UN RAGAZZINO!” “Allora agisci. Se le tue azioni porteranno del bene vedrai che persino Eraqus capirà la verità” “E come?” Il Padre era abile. Conosceva le parole. Il blob sapeva che le parole potevano essere armi, il vecchio alchimista lo ripeteva spesso. Diceva che gli esseri umani erano deboli davanti ad esse. La creatura non capiva come potessero ferire delle strane lettere messe in ordine confuso, prive di lame o massa contundente. Per lui erano tutte uguali, ma per quel Custode dai capelli castani non era così. Il Padre passeggiò per la stanza, arricciando la barba tra le dita “Sono un vecchio alchimista, ragazzo. Credo che nel tuo cuore ci sia già la risposta. Non ci sono Cavalieri del Drago che mantengano l’equilibrio e la giustizia, perciò dobbiamo cavarcela noi umani! Tutto questo è iniziato con quel demone ambasciatore arrogante, ma ti rendi conto anche tu che il problema sta nel manico; se quell’essere meschino ha osato tanto è perché qualcuno di molto influente gli protegge le spalle. Lo appoggia. Forse lo istiga perfino, chi può dirlo?”. Gli andò vicino, una figura anziana e traballante accanto ad un guerriero forte ed impavido “Terra, fammi vedere il tuo Keyblade”. Quello obbedì. Il blob vide l’uomo disegnare con il fuoco di un incantesimo un cerchio alchemico sotto lo sguardo curioso ma ricco di desiderio del ragazzo. La creatura aveva visto tante volte il Padre preparare quel cerchio nel suo laboratorio, cercare i libri appropriati e consultare la biblioteca della capitale. Non aveva chiuso occhio per trovare un modo di portarlo ai massimi livelli. E conosceva benissimo i suoi effetti. “Tengo a te come un figlio, ragazzo. Non so quale saranno le tue scelte, d’ora in avanti, ma non voglio perderti, non dopo quello che è successo a Sora” fece, una volta terminato il rito. Le linee rosse che delimitavano il cerchio erano sparite, fuse con l’essenza vitale del Keyblade “Ho rafforzato un pochino la tua arma … ovviamente so già che Eraqus non approverebbe … ma qualsiasi prova tu decida di affrontare sappi che ti proteggerò come posso. Con questo cerchio ed altro ancora”. L’altro si inginocchiò e si profuse in ringraziamenti. Il Padre si girò verso l’angolo dove lui era rifugiato e si limitò ad un cenno della testa. Ma il suo sorriso era inequivocabile.
Complimeni per chiunque arrivi fino alla fine!!!
Edited by Lisaralin - 23/4/2012, 10:45 |
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