| | Eh, sì, purtroppo per voi è già Marzo e purtroppo per voi siamo tornate. Abbiamo cercato di stringerci quanto più possibile (mumble, con scarsi risultati), però ecco per voi il nostro nuovo capitolo. Finalmente azione, una città tutta da esplorare e soprattutto la vicenda inizia a prendere una pessima piega!
Capitolo III: The City of Men
La sagoma affusolata dell’astronave si riflesse lungo le pareti lucide della torre di controllo. Il metallo catturò lo scintillio del sole delle ore più tarde, e per qualche attimo i suoi occhi furono riempiti di luce. Quando li riaprì il loro veicolo atterrò con grazia tra centinaia di altre navi dalle fattezze più svariate, ed Aqua si sentì una bambina un po’ sciocca mentre osservava la Città degli Uomini dal portello di transparacciaio. Il viaggio le era sembrato durare in eterno. L’ambasciatore Pai non aveva fatto altro che lamentarsi, sbraitare, insultare gli operatori di volo ed i pochi attendenti che avevano ricevuto l’ingrato incarico di garantire ai tre passeggeri ogni confort. Al terzo commento legato alla stretta parentela che dovevano avere gli antenati del cuoco di bordo con i vermi ed i parassiti, gli ufficiali di Autozam avevano abbandonato qualsiasi approccio affabile con l’ambasciatore e si erano ritirati nelle loro cabine, lasciandola sola con quel demone rumoroso ed il suo schivo assistente. Era contenta di sbarcare. Non era mai stata ad Autozam in vita sua, ed i commenti che aveva ricevuto al riguardo non era dei più positivi; ma in quel momento non desiderava altro che fare una passeggiata per le strade, allontanandosi anche pochi minuti dal fastidioso compagno di viaggio. Il demone maggiore lanciò uno sguardo di rapido oltre il finestrino. Aqua lesse in quegli occhi scuri un disprezzo antico, qualcosa che un umano non sarebbe mai stato in grado di provare “Vado a supervisionare le manovre di attracco, ambasciatore”. “Il fetore di questa città è palpabile persino qui dentro”. “Autozam è una città industriale, all’avanguardia in ogni settore scientifico e tecnico”. “Per voi umani il concetto di avanguardia è legato alla quantità di volte che offendete la natura, l’aria e l’acqua?”. Aqua si morse il labbro, e con un debole cenno del capo seguì la figura del comandante del velivolo che attraversava la plancia per raggiungere il portellone di sbarco; il demone non aveva tutti i torti, ma non poteva permettergli di lanciare altre offese su Autozam e la sua gente. Gli oligarchi non erano tolleranti come Re Ansem; un motto comune era che ragionassero solo con le testate nucleari. Con un salto mise piede fuori dall’astronave, pensando alla riunione diplomatica che si sarebbe tenuta entro poche ore ed alle sue possibili conseguenze. Un raggio verde saettò alla sua destra; Aqua si voltò, e mentre l’avioporto si riempì del rumore di armi al plasma che si caricavano evocò il suo Keyblade. Una sagoma nera scivolò rapida tra le ombre dell’astronave; il comandante esplose in grida di avvertimento, e le armi ad impulsi degli addetti della sicurezza si rivolsero contro la creatura in movimento. Una prima raffica di laser azzurrini si infranse sulla fiancata del velivolo. Gli allarmi scattarono. La ragazza corse verso l’ombra, incurante della luce pulsante della torre di controllo nella sua direzione; piccolo, sfuggente, quello strano essere si mosse tra un’astronave ormeggiata e l’altra, allontanandosi dalle truppe regolari che erano accorse nel loro settore, armi in pugno. Quello è … un Heartless? “Signorina, stia indietro” le fece un soldato in esoscheletro. Le terminazioni meccaniche della sua protezione si illuminarono in sequenza, accordandosi con alcuni segnali a frequenze standard della torre che dava sull’avioporto. Ad un suo cenno una manciata di soldati si dispose in modo ordinato nell’area, ciascuno con dei dispositivi in transparacciaio tra le mani: un paio di loro si posizionarono proprio davanti ai suoi occhi, mentre altri scivolarono lungo il perimetro, accerchiando l’ultima astronave nella cui ombra si era rifugiato l’Heartless. “Assumete un Enach compatto, obiettivo ristretto ai quadranti 5.6 e 5.5. Polarizzazione stabile al 78%” disse l’uomo in esoscheletro, e la sua voce risuonò amplificata per tutta l’area. Estese la terminazione della sua corazza in direzione della torretta, e tutto l’esoscheletro si riempì di venature azzurre. Aqua si portò alle spalle del comandante, sentendosi di troppo. “Polarizzazione stabile all’85%; sequenza di attivazione iniziata. L’obiettivo si è portato in zona 5.3, aprite la formazione ma non perdete il contatto”. L’Heartless non era solo: dalle ombre se uscì fuori una dozzina, piccole creature dalle curiose antenne e le zampe sempre in movimento. Sarebbero state quasi graziose, se non fosse stato per gli occhi: dalla loro massa color delle tenebre, due piccole luci gialle scrutavano, sbirciavano ed inseguivano con uno sguardo quasi minaccioso. Scivolarono sul pavimento, ed in un’unica ondata si mossero verso un drappello di guardie “NON FATELI AVVICINARE! RESPINGETELI CON I PLASMANUCLEI!” Cinque soldati si portarono alle spalle degli Heartless, ed anche nella confusione si disposero ella massima regolarità: lanciarono dei globi azzurri che Aqua non aveva mai visto, e le creature si allontanarono dalle vittime, puntando verso i nuovi aggressori tra mille sibili. La protezione del capitano assunse una luce verde intermittente, e prima ancora che lanciasse nuovi ordini le truppe cambiarono disposizione, lasciando spazio di manovra all’esoscheletro corazzato “Area libera. Polarizzazione al 93%. Sequenza di attivazione terminata”. Fu il primo ad essere sbalzato contro un’astronave. Aqua percepì la magia grazie all’allenamento, e con un salto si portò su una rampa poco prima che un cristallo esplodesse nel punto dove si trovava un attimo prima. Lungo le lastre del pavimento dell’avioporto si formò una patina di ghiaccio che imprigionò le gambe di due soldati, poi si diresse senza sosta verso gli Heartless. Una pioggia di schegge riempì l’aria, ed il gelo del Blizzaga più potente che lei avesse mai percepito si infranse sulle creature d’ombra. Mentre i vetri della torre di controllo esplosero, l’incantesimo di gelo cristallizzò i piccoli nemici. Il capitano uscì dall’esoscheletro avvolto in un mantello verde, e lei lo vide intimare qualcosa ai soldati in preda al panico, che si fissavano gli uni con gli altri ad armi spianate; ad un grido del loro superiore si portarono verso l’edificio ed assunsero una posizione di difesa. Un’ultima, tempestosa sfuriata di energia si abbatté sugli Heartless, e del loro cristallo non rimase nemmeno una scheggia. Il freddo se ne andò trascinato dal vento, e quando Aqua ne seguì l’origine vide l’ambasciatore Pai in volo sopra la loro astronave, e ad un suo cenno della mano il pavimento dell’avioporto tornò come prima, tranne per i militari così sfortunati da essere finiti sulla sua traiettoria. Sentì il suo sguardo contrariato su tutti loro. Con un salto atterrò sul duracciaio della nave, a pochi passi da lui. “Non c’era motivo di intervenire in questo modo. L’esercito di Autozam aveva la situazione sotto controllo”. “Un intero spiegamento di forze per una manciata di Heartless. Questa io non la chiamo situazione sotto controllo”. “Ha rischiato di uccidere due soldati”. “Voi umani non sapete far altro che brulicare come formiche” lo sguardo di lui era cupo, e quando lo sentì su di sé si trovò a disagio. Ora capiva perché ogni umano di Cephiro temeva i demoni “Due in più o in meno non faranno la differenza. E comunque si sono salvati. Adesso gradirei incontrare questi famosi oligarchi, ho qualcosa da dire loro”. Sdegnato, offeso, l’ambasciatore volò fino alla rampa d’accesso, osservando prima i risultati dei suoi incantesimi e poi il suo assistente, che stava recuperando tutte le valigie e le stava sistemando su un altro velivolo. Alcune si erano aperte, ed il piccolo demone dai capelli verdi saettava alla ricerca del loro contenuto con l’occhio vigile del suo capo su di lui. Aqua fece sparire il suo Keyblade, pronta a scusarsi con i soldati di Autozam. Un’unità di pronto soccorso era giunta per prendersi cura dei feriti, ed un paio di alchimisti stavano riparando i danni alla torre di controllo ed ai velivoli sacrificati alla furia dell’ambasciatore. Si avvicinò al capitano ed al suo esoscheletro ridotto in mille pezzi; stava discutendo con alcuni suoi uomini quando si voltò ed il mantello verde gli cadde dalle spalle. Fu con un certo sollievo che la Maestra del Keyblade ritrovò un viso conosciuto.
Una volta al sicuro nel primo vicolo, lui e Riku si batterono il cinque. “La prima parte del nostro piano è stata un successo!” “Puoi ben dirlo! Nessuno si è accorto di noi. E adesso inizia la seconda parte”. “Riku … credi davvero che ce la farò?” si strinse le cinghie dello zaino, e seguì il suo amico in una lenta scalata. Prima un pontile, poi un altro, si arrampicarono fino a raggiungere il tetto della piccola costruzione quadrata dietro cui si erano nascosti. L’avioporto ormai era solo un rettangolo di duracciaio con piccole figure umane che si muovevano su e giù; eppure anche a quella distanza il ricordo dell’incantesimo del demone gli metteva i brividi. Se Ven avesse visto una cosa del genere avrebbe detto addio ai suoi sogni pacifisti. Riku gli rivolse uno dei suoi migliori sorrisi spavaldi. L’idea della fuga era venuta a lui, ed aveva architettato il piano nel migliore dei modi, nascondendosi nei bagagli del demone maggiore al posto di quel pesantissimo e schifoso pane demoniaco. “Certo che ce la farai. Non hai visto quanti Heartless ci sono qui? Sono sicuro che appena si faranno vedere il tuo Keyblade tornerà. Così ci copriremo di gloria ed avventure, ed il maestro …” “Credi che abbia già letto la nostra lettera?” “Non saprei. L’ho nascosta sotto il suo cuscino, magari la ritroverà domani”. “Manderà qualcuno a cercarci”. “Puoi scommetterci” fece Riku, ed ancora soddisfatto per l’impresa si sedette sul cornicione e gli lanciò la prima merendina. Poi gli indicò la città proprio alle loro spalle: la gigantesca Autozam, quella che solo i ragazzi più grandi avevano visitato. L’enorme distesa di grattacieli diede loro il benvenuto mentre le prime luci al neon disegnavano sulle loro pareti immagini pubblicitarie mai viste e gli speeder scorrevano in dieci lunghe ed interminabili file nello spazio tra un palazzo e l’altro. La città degli uomini, il più grande insediamento grande forse duecento volte più di Radiant Garden, dove c’erano sempre soldati armati a pattugliare le strade e gli alchimisti con i loro incredibili trucchi. Da un’istallazione alla loro sinistra uscì uno sbuffo di fumo nero “Ma credi davvero che qualcuno riesca a trovarci qui dentro?”.
Erano passati tre anni dall’ultima volta che aveva visto Eagle. Certo, si erano sentiti via ologramma, ma i rispettivi impegni avevano impedito a lui di allontanarsi da Autozam e a lei di lasciare Radiant Garden per più di qualche giorno. “Ci voleva una missione speciale per incontrarti di nuovo, Aqua!”. Eagle aveva studiato insieme a loro per diversi anni, ed anche se non riusciva a padroneggiare il Keyblade come lei o Terra si era sempre distinto per la sua educazione e la disciplina ferrea di tutti coloro che venivano dalla città degli uomini, ed il maestro lo poneva sempre come modello per gli studenti più giovani. Era stato un duro colpo per tutti quando aveva lasciato il tempio, ma al compimento della maggiore età tutti i cittadini di Autozam venivano reclutati per il servizio militare. Il maestro Eraqus aveva persino cercato di inviare delle richieste ufficiali al consiglio degli oligarchi per permettere al ragazzo di terminare l’addestramento, ma era stato lo stesso Eagle a chiedergli di non insistere. Lei e Ven avevano sentito la sua mancanza. Le loro navette sfrecciarono davanti ai grandi grattacieli di Autozam, serpeggiando tra le imponenti strutture di duracciaio, simili a stalagmiti artificiali che erano diventate sempre più alte nel corso degli anni fino a ricoprire la superficie del terreno di lunghe ombre minacciose. La luce del sole si rifletteva sulle numerose vetrate a specchio di quei giganteschi palazzi, e brillava sulla superficie cromata delle astronavi più eleganti. Il loro velivolo, liscio ed elegante, montava dei motori su cui brillavano intermittenti dei cerchi alchemici, mentre al fianco volavano tre navette di scorta a cui il suo compagno di viaggio lanciava spesso cenni affermativi. Lui digitò dei comandi su una strana consolle, e sulla loro testa si formò una cupola verdina che rese l’aria profumata e più respirabile; la capitale del regno degli uomini aveva raggiunto livelli di inquinamento incredibili, aveva borbottato il giovane comandante, e si dovevano adeguare. Inquinamento a parte, Autozam era superba. Aqua si voltò sulla destra, osservando un edificio bianco su cui si appoggiavano centinaia di navette, e su una delle terrazze la statua di un uomo incappucciato sollevava un libro aperto, come ad invitare i passanti a fermarsi e ad abbeverarsi al suo sapere “Quella è la sede amministrativa degli Alchimisti di Stato” sentenziò Eagle, rivolgendole un sorriso “Vi sono entrato diverse volte. Almeno una volta al mese una delegazione di oligarchi va ad accordarsi con il consiglio”. “Che io sappia gli alchimisti dovrebbero essere una congregazione di studiosi, non di politici”. “Ma Autozam ha bisogno delle loro conoscenze. Noi non abbiamo la magia dei demoni” sorrise lui. Il suo sguardo corse all’ambasciatore Pai: il demone maggiore si era rifiutato di appoggiare anche solo un’unghia sulle loro navette, e levitava accanto al mezzo di trasporto sprizzando sdegno da tutti i pori. Eagle ed i suoi uomini non lo perdevano di vista. “Senza gli alchimisti non saremmo mai riusciti ad arginare il problema degli Heartless”. “Ma comunque non lo avete risolto”. “Già”. La navetta si allontanò dalle enormi torri del palazzo della confraternita e scivolò nel traffico. Scesero di quota di almeno tre metri, e con una pacata manovra si tuffarono tra gli altri velivoli; nonostante la luce riflessa del sole la abbagliasse, Aqua appoggiò la fronte alla loro bolla protettiva e guardò. Davanti a quello che sembrava un enorme punto di vendita, centinaia di persone attraversavano una piattaforma fluttuante e si portavano ai diversi ingressi; ordinati, precisi, gli abitanti di Autozam avevano una propensione naturale alle regole. Entravano negli ascensori in gruppi compatti con i loro autocarrelli sospesi, alcune guardie accennavano dei permessi e persino i bambini avevano uno strano rigore impostato nei loro gesti. A Radiant Garden non riusciamo a metterci in riga nemmeno per acquistare un ghiacciolo. Fu quello strano rigore a spingerla a guardare meglio, proprio mentre il loro mezzo di trasporto si accostò al grande centro commerciale per garantire il passaggio di un veicolo di soccorso che puntava dritto alla congregazione degli Alchimisti di Stato. Quelli che per qualche secondo aveva scambiato per guardie un po’ zelanti erano militari a tutti gli effetti, con delle divise bianche proprio come quella di Eagle; camminavano tra i bambini ed i civili con uno schema rigido, e tutti avevano in bella vista la loro dotazione di turbolance o dei leggeri AR81 al plasma. Gli abitanti sembravano non fare caso alla loro presenza. Poi li vide. Dal gruppo di bambini uscì una femminuccia di circa dieci anni, con indosso un semplice abito grigio ed una bambola che Aqua aveva già visto in una delle mille vetrine scintillanti della città. Due ragazzi di poco più grandi, probabilmente i fratelli, si misero ai suoi fianchi e la scortarono come una principessa, sfilando orgogliosi davanti ai soldati. E quelli che avevano in mano non erano giocattoli. Anche da quella distanza la ragazza riconobbe il familiare scintillio dei FAV13, quelli che avevano imbracciato gli uomini all’avioporto per difendersi dagli Heartless. Modelli più piccoli, senza alcun dubbio, ma la forma chiara e slanciata di quelle armi ad eliminazione plasmatica era inconfondibile, soprattutto quando li avevano usati nelle simulazioni di duello nel tempio. Il piccolo drappello si avvicinò ai genitori, e con orrore la Custode si accorse che non erano gli unici. Anche al livello più sotto, dove erano attraccate numerose navette per il rifornimento nucleare, più di un bambino faceva mostra di un’arma sotto lo sguardo protettivo dei militari. “Eagle, perché vedo dei bambini armati? E non dirmi che sono giocattoli, perché lo vedo da me”. “Gli Heartless. Si stanno moltiplicando. Non abbiamo abbastanza uomini per …” “Non avete abbastanza uomini?” L’intera città sembrava una base militare, non aveva fatto altro che osservare soldati, aviatori ed alchimisti su ogni piattaforma, come in un costante stato di allerta. Come a confermare i suoi dubbi sfrecciarono davanti ad un istituto di formazione infantile: se i bambini fissavano Pai a bocca aperta, lei non poteva far altro che osservare impietrita l’enorme batteria di turbolaser montata sul perimetro del grattacielo e sull’impalcatura dell’ingresso. Quando Autozam aveva richiesto a Radiant Garden un consulto non pensava che la situazione fosse così grave. Eagle si alzò e le venne vicino. Fissò i bambini, poi i soldati in pattuglia e si abbandonò ad un sospiro: “La situazione non piace nemmeno a me, Aqua. Credo anche io che i provvedimenti siano troppo estremi, ma …” Non terminò la frase, rifugiandosi nel suo mutismo di soldato. I tre anni di accademia lo avevano senza dubbio irrobustito. Rimaneva un ragazzo alto ed esile, ma i suoi movimenti si erano fatti più decisi, compatti, meno ingenui ed inesperti di quando manovrava il suo Keyblade. Aveva sempre trovato curiosi i suoi capelli, perché a Radiant Garden vi erano chiome azzurre, argentate, rosa, ma nessuna di un bianco così intenso, fuori posto in una persona giovane. Ai tempi dell’accademia era sempre stato vittima di qualche scherzo degli studenti più grandi, e toccava a lei e a Terra difenderlo, cercando di far leva sul suo orgoglio di soldato. E ci erano riusciti visto che adesso Eagle era un capitano ed aveva ai suoi comandi più di cinquecento uomini. Uno dei suoi sottoposti lo chiamò al comlink, e dopo aver disposto i comandi per le manovre delle navette di scorta avvisò tutti di prepararsi per l’attracco. “Bene, tra meno di un’ora sarete al cospetto degli oligarchi. Vi aspettano con ansia” rispose, e con un sorriso radioso dissipò le ombre che si erano attardate sulla sua fronte pochi secondi prima, e con un gesto elegante la invitò ad osservare il palazzo degli oligarchi, il cuore pulsante di Autozam, con un certo orgoglio. Aqua sapeva che Eagle aveva avuto un debole per lei sin dal primo giorno che era giunto a Radiant Garden, ed a giudicare dalle sue cortesie le cose non erano cambiate. Era una bravissima persona, ma … Sbarcando, si chiese cosa stesse facendo Terra in quel momento. Meditazione, molto probabilmente. Se avesse passato l’esame quella missione sarebbe stata affidata a lui, o forse il maestro li avrebbe mandati insieme con il suo sorriso tra il complice e l’accondiscendente. Sarebbe stato davvero fantastico osservare il tramonto insieme, tra quei mille grattacieli, a fissare dall’alto le astronavi e gli uomini che si disponevano tra gli edifici in un’unica danza; avrebbe prenotato il ristorante panoramico più bello della capitale e sarebbero rimasti a chiacchierare ore intere, a prendere in giro l’ambasciatore demone o a commentare tutte le stranezze degli abitanti di Autozam. Cercò tra le tasche il suo portafortuna e lo strinse forte. “Aqua, ti avviso … il comitato degli oligarchi non è indulgente come Re Ansem. Quaggiù i demoni non vengono visti di buon occhio, ed ho paura che siano molto prevenuti nei confronti dell’ambasciatore”. Osservò Pai atterrare sulla piattaforma sotto lo sguardo terrorizzato di alcuni soldati; molti abbassarono le armi solo ad un cenno perentorio di Eagle. Il demone fissava i grattacieli con lo sguardo di chi li avrebbe rasi al suolo con gioia. Gli oligarchi non erano gli unici ad essere prevenuti.
Terra continuava a falciare Heartless. Prima due, poi tre, poi un’intera nube cadde sotto i colpi del suo Keyblade. Le guardie potevano continuare a cercare i loro nemici per tutta Radiant Garden, ma non avrebbero trovato altro che ombre. Erano lì sotto, tra i sistemi di depurazione fognaria; erano lì in attesa di Terra e la creatura avrebbe osservato ogni scontro. Il Padre ne sarebbe stato soddisfatto.
“Aqua-girl, è un onore incontrarti. Il tuo maestro ha letteralmente invaso la nostra segreteria con un curriculum più che invidiabile, mia cara. E questo deve essere il famoso Pai-boy”. La riunione prese una piega orribile sin dai primi istanti. Il demone maggiore fissò l’uomo davanti a lui come se avesse voluto schiacciarlo con la punta della sua calzatura. Come avvenuto con Re Ansem, alla mano tesa in segno di amicizia rispose con la sua pura disapprovazione e le braccia saldamente incrociate sul petto. La sala della riunione non era né vasta né imponente. Le pareti erano lucidate a specchio, ma non vi erano decorazioni, statue, piante o qualcosa che ricordasse i colori anche solo da lontano. Dalla piccola finestra si scorgeva solo la massa di grattacieli di Autozam e, per quanto lontano il suo occhio potesse andare, Aqua non riusciva a scorgere la benché minima macchia di verde nel paesaggio sconfinato alle spalle degli oligarchi. I tredici oligarchi erano già nella sala delle riunioni quando Eagle li aveva introdotti, e li avevano osservati a lungo da dietro la loro scrivania metallica. I loro vestiti sembravano usciti da una catena di montaggio. Stirate, ineccepibili, le loro camice bianche coperte da giacche scure si stagliavano da dietro la scrivania, accompagnate da visi che alla giovane Custode sembravano del tutto anonimi. L’unica eccezione era stata il primo oratore, l’unico degli oligarchi ad essersi alzato in piedi per riceverli ed aver cercato di stringere la mano all’ambasciatore demoniaco; il suo abito rosso fuoco attirava indubbiamente l’attenzione. Maximilian Pegasus, Ministro dei Giochi e dello Sport recitava la targa davanti alla sua postazione. “Se sono qui in mezzo al vostro insulso formicaio è solo per ordine dell’eccelsa Grande Satana Nehellenia, sappiatelo!”. “Oh, ci saluti l’adorabile Grande Satana e …” “Adorabile non è il termine con cui voi umani vi dovreste riferire alla divina guida del mondo demoniaco!” “Suvvia, Pai-boy, non ti scaldare, sono certo che …” “Pegasus, ti prego, arriviamo subito al punto” fece una oligarca, appuntando qualcosa sul suo database fluttuante e fissando il demone ed il primo oratore da dietro un lineare paio di occhiali. “Ci penso io. Ho attraversato l’intera Cephiro per dirvi che la famiglia demoniaca non è assolutamente la causa di questi Heartless, e che le vostre accuse sul nostro conto sono intollerabili, infamanti e personalmente sarei del parere che nemmeno cento delle vostre miserabili e brevi vite basterebbero per scusarvi”. Aqua non sapeva come fermare quel fiume in piena. Come rappresentante di Radiant Garden e dei Custodi del Keyblade avrebbe dovuto dire qualcosa per placare gli animi ed indurre il demone ad usare un tono più riverente nei confronti del tredici uomini più potenti del mondo. Eppure in quella sala si sentiva spaesata ed incapace di aggiungere una qualsivoglia informazione intelligente; l’unico suo supporto era Eagle, ma era impettito davanti all’ingresso della sala riunioni e vigilava sulla sicurezza degli oligarchi. “Il Grande Satana stesso, dall’alto della Sua munificenza, ha condotto alcuni studi su alcune di queste creature con il Suo ineguagliabile potere magico: siamo riusciti a scoprire che sono creature composte da Oscurità, e che per duplicarsi hanno bisogno dei sentimenti negativi degli esseri viventi. Non hanno origine conosciuta, ma certamente non appartengono ad alcun ramo della famiglia demoniaca, nemmeno a quelli collaterali o alla famiglia animale. Voi umani avete la disgustosa abitudine di classificare come magico tutto quello che non capite ed accusate noi di esserne la causa, ma la famiglia demoniaca non ha nulla a che vedere con ciò. Non a caso sono comparsi nelle vostre città, a Pharen invece non vi sono stati che sporadici episodi”. “Sentimenti negativi …” borbottò uno dei politici “… avremmo sperato in qualche dato più consistente”. “Non è nulla che possiamo analizzare”. “O quantificare”. Aqua non sapeva dare torto alle obiezioni degli oligarchi. Lei stessa aveva difficoltà a definire bene il concetto di sentimenti negativi e di oscurità, non poteva pretendere che degli uomini pragmatici e materiali come loro comprendessero il problema. Il brusio degli oligarchi fu interrotto da un cenno del primo oratore “Va bene, va bene, Pai-boy ha espresso il problema con la massima chiarezza. Cercheremo di lavorarci su”. Ritornò alla sua postazione e versò in dei bicchieri di similvetro un liquido verdino e frizzante; Aqua lo accettò con piacere, sforzandosi di non vedere il gesto di disgusto con cui l’ambasciatore demone rifiutava il brindisi “Suvvia, sono convinto che questa crisi si risolverà” fece il signor Pegasus, ignorando Pai e sollevando il calice verso di lei “La cosa più importante è aver definito i ruoli di Autozam, Pharen e Radiant Garden. E se ci fosse qualche vero problema … beh, comparirà un Cavaliere del Drago ad aiutarci”. “Auguriamoci proprio di no, Maximilian” borbottò la donna di prima, versandosi il liquido nel suo calice. Il gesto fu ripetuto, in maniera quasi meccanica, da tutti i suoi colleghi “Il Cavaliere del Drago è un segno funesto. Per quanto apprezzi lo sforzo della Madre Drago di partorire ogni tanto qualche uovo direi che questo non è il caso. Autozam è più che in grado di fronteggiare ogni minaccia”. Certo …tutte le minacce scompaiono quando vengono colpite da una testata nucleare …è l’unico modo con cui questa gente risolve i problemi … Gli altri annuirono, forse per la prima volta interessati al contenuto di quella riunione “Sono passati ottocento anni, e ci siamo evoluti da quel momento. Possiamo superare ogni crisi con la nostra forza” lungo la sua schiena corse un brivido gelido “Non c’è bisogno che un Cavaliere del Drago si impicci dei nostri affari”. Deglutì, pensando a Ven ed alle sue idee. “Suvvia, ragazzi, basta con questo grigiume!” esplose il signor Pegasus, portandosi con il suo abito rosso al centro della stanza “Non abbiamo invitato qui Pai-boy ed Aqua-girl solo per ascoltare le nostre lamentele politiche. Visto che abbiamo appurato che la famiglia demoniaca è estranea a questo increscioso incidente e che ci ha fornito alcuni dati importanti direi che possiamo aggiornare la riunione e …” “NON COSI IN FRETTA!”. L’ambasciatore Pai tuonò, levitando altezzoso; puntò il dito contro il primo oratore in un modo assai poco diplomatico “Voi sudici umani avete osato infangare con le vostre vili menzogne il nome della famiglia demoniaca e quello del Grande Satana Nehellenia. Se pensate di concludere questa vicenda in questo modo vi assicuro che io …” “Suvvia, Pai-boy, calma! Manderemo immediatamente un telegramma al Grande Satana per scusarci della nostra …” “COME OSATE!” Aqua vide Eagle far scivolare la mano sulla sua arma al plasma “E credete che un vostro volgare pezzo di carta basti? Voi dovreste genuflettervi, prostrarvi, supplicare di persona che la nostra beneamata sovrana vi perdoni, vermi schifosi! Non avete idea di quanto poco valgano le vostre brevi esistenze e le vostre ancor più flebili scuse davanti alla Sua magnificenza!”. “Ma Pai-boy …” “E NON OSARE RIVOLGERTI MAI PIU AD UN DEMONE PAR MIO IN QUESTO MODO FRATERNO, SPORCO UMANO INFERIORE!” Aqua fece un passo avanti per mettersi tra l’ambasciatore ed il politico, ma il demone diede le spalle al congresso degli oligarchi e fluttuò verso la porta, circondato da un’aura azzurra “MA NON FINISCE COSI! ME LA PAGHERETE!”. Nessuno dei soldati di guardia si frappose tra lui e l’uscita, e la ragazza rimase impotente a fissare la porta. La stanza era piombata nel silenzio più assoluto, ed il martellare del suo cuore le ricordò di aver appena fallito la sua prima missione ufficiale. Fissò i tredici oligarchi uno ad uno, e nelle espressioni quasi uguali lesse il suo stesso disappunto per non essere riuscita a trovare un accordo. Forse gli oligarchi non erano stati il massimo dell’ospitalità, ma almeno avevano cercato di collaborare con il demone; invece lei non era riuscita a farlo ragionare, e con questo affondava il ruolo di mediatore di Radiant Garden. Uno degli oligarchi, quello più anziano, sollevò il dubbio che aleggiava nell’aria “E questo sarebbe il diplomatico che il Grande Satana ci ha inviato? A me sembra un deliberato insulto nei nostri confronti”. “Anche per me”. “Mi trovate d’accordo. I demoni non agiscono in maniera individuale, fanno tutti riferimento al loro capo. Se questo Pai si è comportato in questo modo è perché il Grande Satana ha dato il suo tacito consenso ad insultarci”. “Certo, Maximilian …” brontolò uno di loro dall’aria ancora più esasperata “… che potevi evitarti di chiamarlo Pai-boy!” “Ma se quello ci ha chiamati vermi schifosi e anche peggio!” rispose il primo oratore. Con i suoi capelli argentati e lo sguardo di chi sembrava quasi divertito dagli eventi, quel Maximilian Pegasus le stava istintivamente simpatico. Eagle le aveva detto che gli oligarchi avevano sorteggiato tra loro chi avrebbe dovuto rivestire il ruolo di primo oratore per quella seduta, ma forse quell’uomo un po’ stravagante non era stata la scelta più felice “Ma adesso basta parlare di affari!”. Metà dei politici si era ormai alzata in piedi, ma tutti lo fissarono “Mi sono preso la briga di cancellare tutti i nostri impegni per le prossime dodici ore! Stasera vi voglio tutti alla mia villa! Ho organizzato un piccolo party per l’uscita del nuovo gioco della mia Industrial Illusion e siete tutti a-s-s-o-l-u-t-a-m-e-n-t-e invitati. Il Duel Monsters andrà alla grande questo anno, vedrete!”. Si voltò verso di lei con un sorriso ammiccante “Aqua-girl, se non ha altri impegni per questa sera si consideri invitata. E anche lei, comandante Eagle Vision” si avviò con noncuranza verso la porta, unica figura rossa in uno sciame di oligarchi neri e bianchi “Si prenda la serata libera. Dopo aver sopportato quel demone avrà di certo bisogno di svagarsi!”. Aqua non fece in tempo a ringraziare; purtroppo la sua missione non era conclusa e non poteva permettersi distrazioni.
Un'area verde proprio nel bel mezzo di quel mostruoso intrico di cemento e acciaio. Erba, terra battuta sotto i loro piedi. Un piccolo parco pubblico con qualche giostra qua e là, niente di più, ma a Kisshu sembrò un miracolo, la prima cosa bella che capitava loro da quando erano partiti per quell'infausta missione. Il capo... definirlo furente sarebbe stato un eufemismo. Kisshu non era riuscito in nessun modo a convincerlo a tornare ai loro alloggi. Stava calando la notte, ma lui non accennava a muoversi. La sua aura magica si agitava ancora come un'onda impetuosa, carica d'ira contro gli oligarchi, contro quella città fredda e spietata, contro l'intero genere umano. Parecchi Heartless si erano avvicinati a loro attratti da quel tripudio di emozioni negative, ma Pai li aveva inceneriti senza neppure degnarli di uno sguardo, semplicemente incrementando la propria aura. Non erano state solo le parole irrispettose degli oligarchi, Kisshu lo sapeva. Quelle erano solo la goccia che aveva fatto traboccare il vaso già di per sé non troppo capiente della pazienza di Pai. Il tentato avvelenamento a Radiant Garden, il dover convivere forzatamente con gli umani respirando la loro stessa aria... alla fine il capo non aveva potuto fare a meno di esplodere. In fondo Kisshu se lo era aspettato sin dall'inizio. Avevano provato varie volte a contattare il Grande Satana via Occhio di Zaboera, ma non vi era stata nessuna risposta. Kisshu sospettava fortemente un'interferenza di Sua Eccellenza Baan, ma si guardò bene dal dirlo al capo. Se c'era una persona che Pai odiava quasi quanto gli umani era Sua Eccellenza Baan, demone maggiore, Consorte del Grande Satana Nehellenia e, almeno fino a che non fosse nato un erede, primo nella linea di successione al trono demoniaco. E l'avversione era reciproca. Molto probabilmente Sua Eccellenza non aveva intenzione di rovinarsi una serata in compagnia di sua moglie con le lamentele di Pai, e aveva rinchiuso da qualche parte il povero Occhio. Kisshu sospirò. Si prospettava una lunga notte. Il capo fluttuava seduto a gambe incrociate a pochi centimetri dall'erba del prato, lo sguardo torvo, la fronte corrugata. “Capo, dovremmo tornare...” tentò per l'ennesima volta. “Dobbiamo farci forza, è per il Grande Satana...” Bastò un'occhiata distratta di Pai per farlo tacere. No, non era dell'umore per discutere. Doveva sbollire la rabbia. Kisshu si sedette sul prato, sospirando, e intessé tutto intorno a loro una cupola magica difensiva, attenuando anche i rumori del caos cittadino che provenivano dall'esterno. Solo questa notte, si disse per farsi coraggio, solo questa notte e poi si calmerà. Lui non deluderebbe mai il Grande Satana. Ha solo bisogno di tempo.... Domani sorgerà il sole, e andrà di nuovo tutto bene.
Si sbagliava. Kisshu fu svegliato da qualcosa di metallico che gli premeva in modo insistente contro la tempia. Ebbe appena un attimo per rendersi conto che i suoi propositi di restare di guardia tutta la notte erano miseramente falliti, poi i suoi occhi si spalancarono per lo stupore. Nugoli di soldati di Autozam li circondavano completamente, le armi spianate e puntate su di loro. L'alba doveva essere passata da poco, e il parco era stato letteralmente invaso da un'orda di quegli strani veicoli metallici tipici degli umani, che continuavano a vomitare un battaglione dopo l'altro di soldati. Anche il cielo era oscurato da stormi di macchine volanti, i cui cannoni li tenevano costantemente sotto tiro. Uno spiegamento di forze impressionante... ed era solo per loro due. “TRADIMENTO!! COME OSATE, UMANI SCHIFOSI?!” Il soldato che lo teneva sotto tiro gli intimò bruscamente di alzarsi. Kisshu percepì accanto a sé l'aura magica del capo addensarsi e raccogliersi come un felino prima di balzare sulla preda... ma c'era qualcosa di strano nell'aria, una pressione anomala, come un peso invisibile e opprimente che lo faceva sentire debole e gli impediva di ragionare con lucidità. L'incantesimo del capo non partì mai. Pai fissava la propria mano aperta, incredulo e per una volta senza parole. “Opporre resistenza non vi servirà a nulla, demoni” fece una voce gracchiante che sembrava provenire dall'alto e risuonava amplificata in ogni angolo. “Vi abbiamo circondato con un campo antimagia. Siete in arresto per omicidio plurimo volontario.” “Cosa andate farneticando?! E' una menzogna bella e buona! Il Grande Satana non tollererà... NON OSATE TOCCARMI CON LE VOSTRE SUDICIE MANI!” Incapace di difendersi Kisshu fu ammanettato all'istante, mentre il capo ancora lottava per liberarsi: anche senza la magia il suo fisico era forte e temprato, e non aveva rivali nel duello corpo a corpo. Ma i soldati di Autozam erano semplicemente troppi. Da una delle loro strane armi partì un colpo, e Kisshu vide il capo sgranare gli occhi e accasciarsi al suolo come una bambola di carta. “CAPO, NOOO!!” Spinse e si divincolò con tutte le forze che aveva, menando calci a destra e a sinistra nel disperato tentativo di raggiungere il corpo del capo, che i soldati stavano caricando su uno dei veicoli di metallo. Qualcuno gli rifilò un colpo in faccia con il calcio del fucile e Kisshu sentì quasi immediatamente il livido che andava sbocciando sulla sua guancia con una tremenda esplosione di dolore, ma nemmeno allora si fermò. “Il capo, avete ucciso il capo, umani bastardi!” continuava a urlare, mentre quelli lo tempestavano di colpi che le sue mani ammanettate non erano in grado di parare. “Basta così!” fece una voce autoritaria, imponendosi immediatamente sul caos. Kisshu fu lasciato cadere a terra, stordito e boccheggiante. La sua bocca era piena dell'amaro sapore del sangue. “Gli ordini sono di arrestarli, non di fare loro del male!” Kisshu riconobbe la voce del comandante Eagle Vision, colui che li aveva accolti quella mattina al loro arrivo in aeronave. Sembrava essere passato un secolo da allora. “Vergognatevi!” “Comandante, con tutto il rispetto, sono quei bastardi che hanno fatto saltare la villa dell'oligarca Pegasus!” La villa dell'oligarca.... ? Eagle Vision ignorò completamente l'interruzione: “Sono comportamenti come questo che attirano quelle creature malefiche! L'odio e la violenza, non lo capite?!” Solo allora Kisshu notò gli Heartless. Cercavano di fare irruzione da oltre l'anello di veicoli metallici che circondava il piccolo parco, ma un gruppo di soldati li teneva a bada con l'aiuto della giovane maestra del Keyblade che era venuta con loro da Radiant Garden. I soldati lo fecero rialzare, stavolta un po' meno bruscamente, sotto lo sguardo vigile del loro comandante. Kisshu incontrò il suo sguardo, serio e velato da un'ombra di tristezza che lo colpì. Lui non si stava divertendo a portare a termine quell'incarico; poter umiliare i due demoni non gli procurava alcuna gioia. Forse fu per quello che osò rivolgergli la parola: “Il capo... cosa gli avete fatto...” “Non temere, è solo addormentato. Entrambi dovrete essere condotti a giudizio.” “Non siamo stati noi! La prego, comandante Eagle, noi non c'entriamo nulla, non sapevamo neppure cosa fosse successo!” “Questo purtroppo non c'è nessuno che possa testimoniarlo. Io e la maestra Aqua abbiamo lasciato la villa molto prima dell'esplosione, e non abbiamo visto nulla. Tutti coloro che erano sul posto sono morti. L'unica cosa che sappiamo è che l'ambasciatore Pai aveva lasciato la sala delle udienze minacciando gli oligarchi di ritorsione.” Kisshu rimase paralizzato dall'orrore. Stavolta l'impulsività del capo li aveva seriamente messi nei guai... l'onore del casato era compromesso. Pai ne avrebbe sofferto immensamente una volta risvegliato, e questo Kisshu non poteva sopportarlo. E la missione era fallita. Nel modo più tragico e catastrofico possibile. E lui non era riuscito a salvare il capo, non aveva vegliato su di lui come avrebbe dovuto, non aveva saputo contenere i suoi possenti scatti d'ira. Mi perdoni capo. L'ho delusa..... Kisshu chiuse gli occhi, e si lasciò trascinare via dalle guardie.
Per fortuna Riku ricordava bene l'indirizzo del Maestro Xehanort. Sora gli invidiava la sua portentosa memoria fotografica: anche lui aveva portato tante volte la posta del giorno al Maestro Eraqus, ma non era mai riuscito a ricordare cosa ci fosse scritto sulle buste. O forse non ci aveva semplicemente mai fatto caso. Forse il segreto era quello, osservare, prestare attenzione anche ai dettagli più insignificanti; non si sapeva mai cosa poteva tornare utile in futuro. Se mai fosse riuscito a diventare maestro avrebbe senz'altro trasmesso questo insegnamento ai suoi allievi. Ma per il momento restava una speranza vana. Avevano girato l'enorme città di cemento e acciaio in lungo e in largo, imbattendosi spesso in gruppi di Heartless, ma per quanti sforzi facesse non era riuscito neanche una volta a evocare il Keyblade. Nemmeno quando una delle creature aveva attaccato Riku alle spalle e lui aveva creduto che l'amico fosse spacciato. Ma Riku se l'era cavata: lui il Keyblade sapeva usarlo, e il Maestro diceva sempre che da grande sarebbe stato forte come Terra. Sora si sentiva orribilmente in colpa, un peso morto, un impiccio. Poi era successa quella cosa orribile, e tutto il resto aveva perso importanza. Il Maestro Xehanort era l'unica persona di cui potessero fidarsi a Autozam. Sapevano che li aspettava una sonora ramanzina per essere scappati da Radiant Garden senza dire nulla, ma anche quello ormai non contava più. Dovevano raccontare al Maestro Xehanort quello che avevano visto, lui avrebbe saputo cosa fare. Il vecchio alchimista abitava al trentesimo piano di uno dei grattacieli più alti e moderni della città. “Speriamo che sia già tornato da Radiant Garden...” “C'è solo un modo per scoprirlo.” Riku premette il campanello accanto alla porta, e rimasero in attesa. “Sora! Riku! Cosa ci fate qui?!” “Maestro Xehanort, la prego non si arrabbi, dobbiamo dirle una cosa importantissima...” “L'esplosione alla villa, Maestro Xehanort, forse noi sappiamo...” “Abbiamo visto...” “Noi eravamo là e...” “Crediamo che...” L'alchimista li interruppe sollevando la mano. “Calma, calma ragazzi.” si spostò di lato, facendo loro cenno di entrare in casa. “Venite dentro e raccontatemi tutto dall'inizio.”
Erano stati i fuochi d'artificio ad attirarli. Dopo un pomeriggio di scontri e fughe dagli Heartless avevano deciso di riposarsi un po', e quale posto migliore dell'immenso giardino di quel villone favoloso, in cui era in corso uno spettacolo pirotecnico da mozzare il fiato? Per la verità non sapevano bene nemmeno loro come erano riusciti a entrare. Il perimetro del giardino era sorvegliato da soldati... tranne che in un punto. “A quanto pare anche le guardie vogliono godersi la festa!” fece Riku tutto allegro, con una gamba già dall'altra parte della cancellata. Sora lo seguì, atterrando su un soffice tappeto erboso. Decisero di non sfidare ulteriormente la sorte e si fermarono lì, seduti sotto una macchia di alberi che li nascondeva a potenziali osservatori che sorvolassero con una navetta l'enorme giardino. Da quel punto si godeva di un'ottima vista sui fuochi d'artificio, ma la villa era lontana chilometri. In effetti più che un giardino era un vero e proprio parco. “Wow, c'entrano almeno tre palazzi di Re Ansem qui dentro!” “Dev'essere la casa di una persona ricchissima!” Riku tirò fuori parte delle loro provviste (le mitiche bombe al cioccolato bianco di Nonna Lenna) e si misero a mangiare, la schiena comodamente appoggiata a un tronco d'albero e gli occhi all'insù, per non perdere nemmeno un secondo della meravigliosa coreografia di luci colorate che si intesseva nel cielo senza stelle della notte di Autozam. “Sora, lo senti anche tu?” fece Riku a un certo punto, a voce bassa. Sora si concentrò, leccandosi dalle dita le ultime briciole di zucchero. Sotto al crepitio e agli scoppi dei fuochi d'artificio poteva distinguere qualcos'altro, rumore di passi attutiti dall'erba e ramoscelli spezzati. “Si avvicina qualcuno!” Svelti si nascosero dietro al cespuglio più vicino, cercando di restare il più immobili possibile. Forse era il soldato mancante che tornava al suo posto, e se loro l'avevano sentito arrivare lui poteva aver benissimo sentito loro.... Una figura vestita di nero e incappucciata entrò nel loro campo visivo. Lo sconosciuto camminava curvo, guardandosi attorno con circospezione. Sora trattenne il respiro. Non osava spostare la testa per avere una visuale migliore, ma gli parve che l'uomo – o la donna, per quel che ne sapevano – si chinasse in ginocchio e facesse dei segni per terra. Un attimo dopo il suolo si illuminò di luce scarlatta, e Sora riuscì a distinguere il disegno dell'uomo misterioso. Non lo capiva a fondo, ma anche un bambino avrebbe capito di cosa si trattava. Un cerchio alchemico. Un istante dopo un boato assordante squarciò l'aria, come se milioni di fuochi d'artificio fossero stati sparati tutti nello stesso istante, e una fortissima esplosione luminosa lo costrinse a chiudere gli occhi. Istintivamente lui e Riku si strinsero l'uno all'altro, tremanti, con il cuore in gola. Quando riaprirono gli occhi al posto della villa c'era solo una pila di macerie infuocate, e la figura incappucciata era svanita nel nulla.
“Capisce Maestro Xehanort? Noi lo abbiamo visto, abbiamo visto il colpevole!” “Era un alchimista! Ed era gobbo!” “Maestro Xehanort, lei deve fare assolutamente qualcosa!”
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