| | Eccoci con il nostro quinto capitolo! Scusate tanto per il ritardo, ma come vedete era parecchia roba XD Speriamo vi piaccia!!
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Capitolo VI - Equivalent Exchange
Panico. Come in un incubo. Urla, pianti, scalpiccio di passi in corsa, voci isteriche che chiamavano disperatamente i guaritori. Kisshu era finito in un incubo. Solo che di solito gli incubi una volta arrivati al culmine del terrore finiscono, e ci si risveglia spaventati e ansimanti, ma sani e salvi. Quest'incubo invece continuava. Non era finito con l'urlo disperato del capo, non finì nemmeno quando il portone si spalancò con uno schianto e Sua Eccellenza Baan si precipitò dentro gridando, né quando afferrò Pai per il collo e lo strattonò con violenza, accusandolo di essere un assassino. Kisshu era impietrito, non poteva fare altro che restare a guardare la tragedia che si consumava. Gli sembrava di avere la testa racchiusa in una bolla d'acqua, che attutiva e distorceva tutti i suoni intorno a lui e gli mostrava il mondo attraverso un velo liquido e mutevole. Proprio come in un incubo. “MALEDETTO ASSASSINO!! IO TI AMMAZZO!!” Pai tossì e piantò le unghie nel braccio di Sua Eccellenza, cercando di divincolarsi dalla stretta che lo soffocava. Il corpo del Grande Satana scivolò sul pavimento accasciandosi scompostamente come una bambola rotta. “Non... non sono... argh... non ...” Dal palmo della mano libera di Sua Eccellenza Baan si sprigionò una sfera di luce. La sua aura era un mare in tempesta, impetuosa come Kisshu non l'aveva mai percepita. Se non l'avesse visto con i suoi occhi non avrebbe mai creduto che una persona mite come lui potesse sprigionare una simile furia. Sapeva che doveva correre ad aiutare il suo capo, ma le sue gambe erano immobili, si rifiutavano di muoversi. Come in un incubo. “MUORI, TRADITORE!!” “No...” Una parola fragile, sussurrata con fatica da labbra morenti. Ma era la voce del Grande Satana, e il silenzio calò all'istante sulla grande sala. La sfera di luce si estinse e Sua Eccellenza lasciò andare Pai, che cadde in ginocchio tossendo e massaggiandosi il collo. “Non... non è stato lui... Pai non potrebbe mai...” “Nhelly! Non ti sforzare, i guaritori stanno arrivando!” Ora entrambi i demoni maggiori erano inginocchiati accanto a lei, nella pozza di sangue che si allargava di secondo in secondo, rossa, intensa, minacciosa. “Baan... Pai...” Dalla sua posizione Kisshu non riusciva a scorgere il volto della regina, coperto da un ciuffo di capelli blu notte, ma la vide scuotere la testa e sollevare con fatica una mano fino a sfiorare lievemente la guancia di Baan. Subito dopo le sue dita si strinsero prima attorno alla mano di Baan e poi a quella di Pai, portandole a contatto l'una con l'altra. I due demoni rimasero impietriti, ma nessuno dei due spostò la mano. “Io... mi fido di voi... di entrambi...” “Nhelly, non dirlo, non dirlo neanche per scherzo!” Baan aveva capito, e ora le lacrime scorrevano libere dove pochi secondi prima le dita di Nehellenia avevano tracciato il profilo del suo viso. Kisshu sentì che anche le sue guance erano umide, e le spalle gli tremavano per i singhiozzi. Il Grande Satana racchiuse le mani dei due demoni maggiori tra le sue. Parlare ormai doveva costarle una fatica immensa, e la sua voce era sottile come il fruscio del vento tra le foglie: “Fidatevi anche voi... l'uno dell'altro... la pace... dovete mantenere la pace con Autozam... a qualsiasi costo... per Cephiro... vi prego... “ “Grande Satana...” Ora anche Pai piangeva. La sua mano libera scivolò tra gli splendidi capelli di Nehellenia, scostandoglieli con tenerezza dalla fronte. Le sue dita tremavano. “... vi affido... Pharen... “ Kisshu si ritrovò in ginocchio, le mani premute sulla fronte e bagnate di lacrime. Tutto intorno a lui urla e pianti e panico aumentarono d'intensità. Come in un incubo.
Era forte, era alto, i muscoli delle sue braccia si alzavano e si abbassavano nell’attesa, mettendo in risalto il suo fisico perfetto. Il Padre fa sempre le scelte migliori. Il blob, adagiato tra le colonne pirogeneranti del salotto, scivolò lentamente dietro una di esse, sottraendosi allo sguardo del Custode; forse quello lo avrebbe ignorato anche se fosse rimasto al suo posto, ma il Padre gli aveva proibito qualsiasi contatto con gli umani e la creatura aveva obbedito. Stava facendo bene il suo lavoro. Ed il Padre lo avrebbe ricompensato, perché lui manteneva sempre le sue promesse. Un giorno anche lui avrebbe camminato e parlato come gli umani, avrebbe avuto delle dita per afferrare e stringere, proprio come faceva il giovane Custode, la cui mano era ancora serrata sul gigantesco Keyblade. “Terra, ragazzo mio, tu hai fatto la cosa giusta!” “Lo so di aver fatto la cosa giusta, maestro!” rispose l’altro, anche se i suoi occhi incontrarono solo il pavimento. Il Padre gli aveva insegnato che, con quel gesto, gli umani ed i demoni provavano qualcosa chiamato vergogna “Quella demone meritava di morire, non ci sono dubbi, però … però quello che ho fatto …” “Va contro i principi che ti ha insegnato Eraqus, vero?” L’altro annuì. Il Padre lo invitò a sedersi, ed il ragazzo seguì la sua mano in modo obbediente. Batté le mani, ed uno dei giovani aspiranti alchimisti che frequentavano il suo palazzo comparve, impacciato nella divisa, e con un inchino porse alle due persone un vassoio con delle tazze di caffè farfugliando qualcosa su un esperimento fuori controllo. L’uomo lo allontanò con uno sguardo che avrebbe congelato il fuoco dei pirocamini e si sedette accanto al Custode, porgendogli la bevanda “Io l’ho sempre detto ad Eraqus di non imbottire troppo i giovani con i suoi principi. Una legge serve solo se ha un risvolto pratico, ragazzo mio …” “Un Custode del Keyblade dovrebbe uccidere solo per difendersi”. “O per difendere i più deboli” Diede uno sguardo insoddisfatto alla tazza dopo averla portata alle labbra e la appoggiò con stizza sul vassoio; il Padre diceva sempre che Autozam era piena di giovani alchimisti che sapevano trasmutare l’acqua in latte, l’argento in oro, la seta in similacetato idrico, ma nessuno che sapesse fare un caffè decente. Forse il motivo per cui non aveva voluto nessun apprendista personale. “Ragazzo, tu non hai usato il tuo potere per te stesso, ma per gli altri. Per impedire che altri demoni facessero cose orribili come quello che è successo a Sora. Credimi, sei nel gusto” Il Custode fremeva, aveva bisogno di quelle parole. Ed il Padre gli darà tutto quello che desidera. “Voi Custodi dovreste prendere esempio dagli Alchimisti, Terra. Per ottenere una cosa devi dare qualcosa in cambio dello stesso valore. Basta. Una sola regola pratica, semplice, vera” “Ma i Custodi hanno bisogno di una morale” “Uh, sì, sono sicuro che Eraqus vi avrà fatto decine di lezioni sul Bene, sulla Luce, sulla Giustizia e su tante cose buone e sante, non lo metto in dubbio, ma … evidentemente il Bene, la Luce e la Giustizia stavano facendo un sonnellino quando i demoni hanno trucidato quel povero ragazzo”. Il Padre ha ragione. Quell' Eraqus dice solo cose sbagliate. Ed è pericoloso. “Ragazzo mio, tu hai fatto l’unica cosa davvero importante in questi giorni, hai mostrato alla famiglia demoniaca che non temiamo né la loro arroganza né la loro magia. Forse non avrai l’appoggio degli altri Custodi, ma io sono dalla tua parte, sono certo che la tua è stata la scelta più giusta”. L’altro si profuse in ringraziamenti. Il blob aveva osservato i suoi occhi per tutto il discorso, il modo in cui quelle sfere azzurre si erano lentamente sollevate e la sete con cui osservavano il volto sorridente del Padre. Era suo. “E non sono l’unico a pensarla così, sai. Il nuovo consiglio degli oligarchi si è riunito meno di tre ore fa, e ti attendono domani per conferirti la medaglia al valor militare. L’oratore Raiser ha proposto di offrirti la cittadinanza e la protezione di Autozam, e la sua richiesta è stata accettata all’unanimità, ragazzo mio”. “Davvero, maestro …? Non credo di meritare …” “Non fare il modesto, Terra. Gli oligarchi ed io sappiamo il tuo valore, e nessuno ha paura dell’Oscurità che porti con te. Anzi, essa ti rende ancora più unico e speciale”. Lui si alzò, ed il giovane Custode con lui. La creatura seguì i loro passi scivolando dietro i mobili, osservandoli mentre si avvicinavano alla grande vetrata del salotto ed appoggiavano le mani al vetracciaio. Quello che rimaneva della piattaforma dell’esecuzione di qualche giorno prima risplendeva nella luce del pomeriggio, tingendo di giallo chiaro i pochi velivoli che osavano avvicinarsi all’area. Gli Heartless si erano manifestati pochi minuti dopo la scomparsa del Cavaliere del Drago e l’esercito aveva fatto evacuare il settore: sembrava una gigantesca ferita luminosa nel cuore di Autozam, e non c’erano dubbi sul fatto che gli autori di quello scempio fossero stati i demoni. Il giovane non doveva ancora aver mai osservato quello spettacolo, perché la sua espressione era congelata. “Non credevo che la situazione fosse così grave” “Lo è, figliolo. Il Cavaliere del Drago è una demone, purtroppo per tutti noi. Dovrebbero essere creature al di sopra di ogni parte, ma come puoi ben vedere non è così. E’ una demone del casato del Grande Satana, ed è chiaro come il sole che la Spada del Drago Diabolico fosse giurata ai demoni già da molti anni. E se persino il Cavaliere ha abbandonato la sua neutralità per seguire la sua natura demoniaca … Autozam non resterà a guardare. Gli uomini reagiranno”. Come previsto dal Padre. “Ci sarà una guerra, dunque?” “Non siamo barbari come i demoni, ragazzo. Autozam lancerà le sue testate solo se il nuovo Grande Satana non accetterà i nostri termini di non belligeranza. Anche se per sicurezza sette battaglioni di fanteria sono già stati disposti lungo il confine di sud-ovest con Pharen, e si conta di far arrivare tre stormi di C01 nell’arco della giornata. Ed il maestro Darver mi ha confermato che un centinaio di Alchimisti di Stato saranno nelle retrovie guidati da lui in persona: se si giungerà alla battaglia, saremo dalla parte degli uomini”. Il giovane Custode tornò a fremere, e la sua arma riapparve di nuovo nella mano destra, ed il cerchio che il Padre aveva impresso su di esso era lì, forte e visibile. Era un guerriero, il Padre lo aveva scelto per quello. Quasi più una macchina che un soldato disciplinato. La scelta perfetta. “Maestro, se ci sarà da combattere … non mi tirerò indietro. Non so cosa sceglierà di fare il Maestro Eraqus, ma non resterò a guardare la famiglia demoniaca mentre fa strage di bambini. Se vogliono davvero sprigionare i loro poteri, se davvero il Cavaliere del Drago vuole mostrarci la sua forza … giuro che troveranno pane per i loro denti”. Fece un inchino formale all’anziano alchimista “Maestro Xehanort, grazie delle sue parole. Se le servisse un giorno qualcosa da me, non avrà che da comandare”. Un vero peccato che abbia già fatto ciò che il Padre desiderava. E lo farà per sempre. Il Padre aveva previsto tutto. E presto avrà abbastanza energia per lo Scambio. “Sai una cosa, Terra … ? Sì, forse c’è qualcosa che potresti fare per me. Qualcosa in cui solo un abile Custode può sperare di riuscire …” Il blob non aveva un cuore. Non poteva sentire quelle strane “emozioni” che guidavano gli umani ed i demoni. Eppure a quelle parole si voltò verso il Padre, e quando la sua testa fece un gesto d’assenso abbandonò il suo rifugio e si diresse, scivolando sulla sua massa gelatinosa, verso il laboratorio. Non aveva un’anima, eppure andò più veloce del solito.
Eraqus abbandonò il suo letto, si strinse una tunica pesante e lasciò che i suoi passi lo guidassero. Erano ormai due notti che non riusciva a dormire, con in testa soltanto le notizie dell’ologiornale. All’inizio non vi aveva creduto, ovviamente. Non poteva essere stato Terra. Eppure il ragazzo non rispondeva all’ologramma, e nemmeno Ven o Aqua erano riusciti a rintracciarlo; Eraqus tentò l’ennesima chiamata nel cuore della notte, sedendosi sotto la statua del Maestro Yen Sid e digitando in preda all’angoscia il numero che ormai conosceva a memoria. La sala principale sembrava così grande di notte, senza i suoi studenti. Ma la luce verde non si accese. Rimase a fissare l’oggetto per diversi minuti, ascoltando lo scrosciare della fontana. Chiuse gli occhi, immaginandosi il ragazzo svegliato dal suono del suo stesso ologramma che si alzava, si rivestiva e correva a chiamarlo; ma nulla. “Maestro, lei cosa avrebbe fatto?” La statua non rispose, ma Eraqus aveva scoperto negli anni che anche i semplici ricordi di persone illustri potevano essere d’aiuto. L’uomo anziano fissava con i suoi occhi di marmo tutti coloro che attraversavano la navata, con lo stesso sguardo grave e severo che aveva in vita. Eraqus aveva voluto farla erigere lì, su una fontana dai marmi colorati che, al chiarore della sera, rivestivano il mantello di un gioco di luci bianche e azzurre. Una fontana che da giovane aveva riempito fin troppe volte per punizione … Gli ultimi anni si era persino divertito ad immaginare se Terra gli avrebbe eretto a sua volta una statua, accanto agli altri maestri. Terra. La persona a cui avrebbe affidato tutto, una volta giunto il momento. No, non riusciva ad accettarlo. Avrebbe scagliato l’ologramma nell’acqua, ma il timore che il ragazzo potesse contattarlo lo trattenne, e si accontentò di osservare le increspature, il proprio riflesso e quello della statua “Se proprio devi pensare” diceva sempre il suo maestro, indicandogli minaccioso due secchi di legno “Pensa mentre vai al fiume. La fontana è asciutta”. Senza alcun motivo logico, Eraqus uscì. Le porte di Radiant Garden erano sempre aperte, notte e giorno, perché chiunque giungesse da lontano potesse trovare accoglienza e calore in ogni minuto, e le poche guardie del Reale Esercito lo riconobbero e gli scambiarono cenni amichevoli con le mani. Era passato molto tempo da quando aveva percorso quel sentiero, ma niente era cambiato da allora. Niente, tranne lui. Da ragazzo, tra una punizione e l’altra, quel piccolo percorso che attraversava l’erba alta era il luogo prediletto per gli scherzi, specie il ventilatore tascabile ad energia solare (già all’epoca Ansem creava delle invenzioni niente male) con cui sollevare le gonne delle compagne di studio, oppure le storiche battaglie a palle di fango nei mesi autunnali, quando il sentiero di riempiva di una melma appiccicosa in cui affondavano fino alle caviglie. Le rocce che usava come postazioni per difendersi erano ancora lì, Eraqus le avrebbe riconosciute tra mille, ma adesso gli sembravano molto più piccole. L’ultima volta che aveva attraversato quel luogo era stato con i suoi apprendisti molto tempo prima e da allora si era rifiutato di tornarci, quasi terrorizzato dal suono scrosciante dell’acqua. Il fiume in quel punto creava un’ansa, anche se negli anni il suo letto si era ristretto per via delle sempre crescenti richieste di acqua ed energia da parte della città; le correnti erano sempre state insidiose, tanto che il Maestro Yen Sid aveva proibito loro qualsiasi immersione nei periodi primaverili, ma sfidare la pazienza dell’uomo dalla barba grigia era sempre stato uno dei suoi passatempi preferiti. Tra un secchio d’acqua e l’altro non erano mai mancati i bagni clandestini, e dove il canneto si diradava lui e gli altri compagni avevano persino insegnato a Xehanort a nuotare, lanciandolo con tutti i suoi vestiti raffinati nell’acqua e aspettando che riemergesse con i suoi bellissimi capelli argentati appiccicati con melma e muschio. Davvero tanti anni fa … Ma un giorno le cose erano cambiate, ed era successo proprio lì, dove gli alberi si erano ritirati ed avevano lasciato spazio ad un soffice tappeto d’erba, dove vi poteva star seduta anche una ventina di persone. Aveva compreso cosa significasse davvero essere un maestro soltanto cinque anni prima.
Persino l’incubatrice aveva smesso il suo fastidioso segnale acustico, e la stanza era piombata nel silenzio più totale, impermeabile persino alla pioggia battente che stava scrosciando fuori di lì. Gli unici rumori che Eraqus potesse percepire erano il proprio respiro irregolare ed il flusso di plasma che attraversava le tubature del macchinario. Abbassò gli occhi al pavimento per non fissare il ragazzo, senza però abbandonare la sua piccola mano fredda. “Dunque è proprio come temevo …” Eraqus sobbalzò “Xehanort? Come sei entrato? Non ti ho sentito arrivare!” “Il vantaggio di essere un alchimista è di non aver bisogno delle porte convenzionali” gli venne accanto con il suo fare cadente e gli appoggiò la mano sulla spalla “Era così giovane …” “È tutta colpa mia! Sora era entrato in acqua e non gli avevo dato troppa importanza, sapeva nuotare bene e non gli era mai successo nulla, però … te lo giuro, Xehanort, quando la corrente è aumentata e lui ha chiesto aiuto sono corso subito ma …” “Ven è stato più veloce di te”. Lanciarono entrambi uno sguardo triste all’incubatrice dove si trovava il ragazzo biondo, avvolto da tubi ormai inservibili; le braccia, le gambe ed il collo erano congestionate nonostante gli sforzi di Eraqus e dei dottori di praticargli la respirazione artificiale, e quando avevano raggiunto il centro di guarigione la situazione era già disperata. Lui stesso era ancora tutto bagnato, proprio come quando era riuscito a recuperare il corpo del ragazzo molte miglia più a valle; Ven era riuscito a raggiungere il fratello di sei anni e a puntare i piedi nel letto del fiume quel tanto che bastava per sollevarlo e spingerlo verso un’ansa poco profonda, ma poi la corrente sotto di lui aveva creato u vortice. Eraqus aveva visto prima la sua testa, poi i piedi ed infine lo aveva perso di vista, e per quanto cercasse di inseguire il ragazzo nuotando non era riuscito a strapparlo in tempo alle acque. Di quello che era successo subito dopo, aveva poca memoria. “È colpa mia, Xehanort, mia e soltanto mia! Ed anche Sora è vivo per miracolo …” Quando era riuscito a recuperare il ragazzo e a liberarsi dalla corrente del fiume era svenuto: ricordava solo le facce di alcuni uomini vestiti di bianco, il ronzare del flyer sotto di lui ed brusio dei dottori, ma non appena aveva ripreso coscienza li aveva mandati tutti a quel paese e si era precipitato lì dentro. Da lì in poi aveva perso il senso del tempo, fissando il ragazzo annegato e sperando che stringendogli più forte la mano potesse far girare indietro la ruota del tempo. “Dovrò avvisare i suoi genitori e … come a farò a dire loro che …” “Che se un loro figlio è morto e l’altro ha rischiato la vita è solo colpa dell’incapacità del loro maestro? No, non mi sembra il caso. Non li chiamare, almeno per il momento”. Eraqus sapeva riconoscere quel tono di voce del suo amico: “Xehanort, a cosa stai pensando?” “Ad un modo per aiutare te e questo povero ragazzo; gli volevo bene anche io, sai?” “Solo il sangue di un Cavaliere del Drago potrebbe aiutare Ven …” “Ma si dà il caso che da ottocento anni nessun uovo di Cavaliere si sia mai schiuso e non credo che la Madre Drago si scomoderà per noi. Quello che ti propongo, amico mio, è un tentativo. Un tentativo alchemico”. Eraqus rimase senza parole per qualche secondo, fissando incredulo gli occhi gialli dell’amico che sembravano rilucere nella semioscurità della stanza di rianimazione. Non avrebbe mai immaginato che i suoi esperimenti alchemici si sarebbero spinti fino a quel punto … un limite che davanti ai suoi occhi sembrava velato dal peccato dell’Oscurità eppure … eppure così dannatamente interessante “Conosco quella faccia, amico mio. Sì, diciamo che non è una di quelle azioni tutte-Luce-e-Giustizia che piacciono a te, ma hai altre alternative?” Respirò a lungo, concentrato sui rumori della stanza e sul viso pallido del suo apprendista che sembrava attendere una sua risposta da dietro la protezione trasparente dell’incubatrice; era lo stesso viso che gli aveva sorriso solo poche ore prima, quello che annuiva sempre dal primo banco durante le lezioni teoriche e quello che sbuffava e si riempiva di sudore durante gli allenamenti per tenere il ritmo dei suoi compagni più bravi. Anche Xehanort si avvicinò al corpo, avvolgendosi i pochi fili della barba al dito con più intento del solito “Mi sono preso la briga di sistemare le cose a modo mio, Eraqus. Ho già detto ai tuoi allievi lì fuori che Ven è ferito gravemente, e verrà trasferito ad Autozam per ricevere delle cure più complete insieme a Sora. Un flyer medico arriverà qui tra cinque ore e porterà te ed i ragazzi al mio laboratorio, e nessun dottore o assistente di questo ospedale farà domande, fidati …” “Hai già predisposto tutto? Come potevi sapere che avrei accettato?” “Sei il suo maestro. Accetterai”.
Accetterai. Seduto sull’erba, Eraqus ricordava ancora il suono di quelle parole. Xehanort aveva sempre avuto una curiosità folle, spesso insana, ed i suoi sentieri di alchimista lo portavano su strade che il Custode avrebbe vietato a qualsiasi suo apprendista, perché costeggiavano troppe volte i fiumi dell’Oscurità. Ma quel giorno, così come in molti altri, Xehanort era lì. Folle, curioso, con il suo modo di fare misterioso ed a tratti arrogante, il suo amico era sempre apparso al suo fianco nei momenti del bisogno. Soprattutto allora.
Strinse la mano al piccolo Sora mentre l’ascensore scendeva senza alcun rumore. Piano uno. Piano zero. Piano meno uno. Visitava Autozam davvero malvolentieri: rispetto a Radiant Garden quella città sembrava appiccicarglisi sulla pelle con i suoi fumi bianchi e grigi, ed i suoi capelli portavano con loro quel tipico odore di plasma acetato e combustibile che si respirava persino nei locali più ricercati. Ma tutte le volte che era stato costretto a recarsi nella grande metropoli non aveva mai mancato una visita al palazzo del suo migliore amico. Meno quindici. Meno sedici. Meno diciassette. Il rango di Xehanort gli permetteva di vivere in uno degli alloggi più estesi di tutta la città, e parte di essa era destinata ad aule dove alcuni giovani futuri alchimisti si esercitavano sotto la sua guida; Eraqus ne aveva visti quattro o cinque affaccendarsi con degli strani sacchi, ma lo conoscevano di fama e lo degnarono di saluti distratti, accompagnandolo verso l’ascensore con i loro soliti brusii. Più di uno lanciò uno sguardo dubbioso a Sora, ma poi tornarono ad immergersi nei loro lavori. Il suo amico si era fatto costruire un laboratorio personale nei livelli inferiori, ed il Custode era pronto a scommettere che nessuno di quegli alchimisti sbarbatelli avesse l’autorizzazione a scendere laggiù: Xehanort era sempre stato molto geloso dei suoi segreti. Meno ventinove. Meno trenta. L’ultima luce rossa si spense, ma l’ascensore continuò la sua discesa dopo che Eraqus appoggiò la mano ad un rilevatore digitale dallo schermo verde, e strinse la mano sulla spalla del suo giovane apprendista per fargli coraggio. Dall’incidente non si era ancora ripreso del tutto, ma Xehanort aveva insistito che fosse presente all’esperimento per la sua affinità fisica con Ventus. Fu investito dagli odori prima ancora che le porte scorrevoli si aprissero del tutto. L’aria era acida ed acre nonostante le metodiche di aerazione T, e non era mai riuscito ad abituarsi del tutto alla sensazione di bruciore fin dentro la gola. Tutto era in perfetto ordine come nella sua ultima visita, a parte il cerchio. Non ne aveva mai visto uno così grande: Xehanort ne disegnava ovunque, sui fogli, sui tavoli ed una volta persino sulla condensa formatasi sul vetro del suo speeder, ma nessuno aveva mai avuto un diametro maggiore ad un braccio. Quello davanti ai suoi occhi ricopriva quasi tutto il pavimento del laboratorio, un’area che tempo addietro era stata un hangar militare che il suo amico aveva acquistato. Era stato tracciato con della vernice rossa, e riusciva ad interpretare solo un segno o due delle miriadi che lo componevano, in un disegno che nemmeno riusciva a percepire dalla sua posizione: le linee si intersecavano, si curvavano e poi tornavano ad unirsi, fino a raggiungere il centro del cerchio dove si trovava il corpo senza vita di Ventus. Xehanort era in piedi accanto a lui, con un occhio rivolto verso il pavimento e l’altro su un mucchietto di strani sali che aveva accumulato accanto ai resti del ragazzo. Con un incantesimo elementare di levitazione teneva sollevato un grande tomo davanti ai suoi occhi, che consultava nervoso mentre disponeva quello strano mucchietto di polvere. “Eraqus, amico mio, credevo ti fossi perso ad Autozam come l’ultima volta!” “Questo cerchio è l’esperimento di cui parlavi?” “Esattamente” una volta completato il suo lavoro richiamò una piattaforma levitante, e salì su di essa per attraversare il laboratorio ed arrivare fin da lui senza toccare il prezioso lavoro dipinto sul pavimento, ed il libro lo seguì “La trasmutazione umana è il sogno di ogni alchimista, e nessuno, nemmeno il grande Hohenheim della Luce è mai riuscito a realizzarne una perfetta, solo a teorizzarne l’esistenza. Mi sono basato sugli appunti dei fratelli Elric, coloro che si sono avvicinati più di ogni altro al grande mistero … apportando delle mie modifiche personali …” Eraqus corrugò la fronte: “Mi stai dicendo che nessuno è mai riuscito nell’impresa?” “Certo, altrimenti anche voi profani ne sapreste il nome” “E cosa ti dà la presunzione di poter riuscire?” “Oh, io ho qualcosa che non possedeva nessun altro alchimista, nemmeno Hohenheim” si sentì attraversato dai suoi occhi gialli “Io ho te. O meglio, il tuo Keyblade a forma di zappa” Scese dalla piattaforma, fece cadere il libro tra le sue mani e salutò Sora con il solito cenno premuroso ma austero; Eraqus continuò a fissare il grande disegno davanti a lui, incuriosito ma allo stesso tempo turbato dalle parole del suo amico. I Keyblade non erano semplici armi; prima di essere strumenti da battaglia erano chiavi, ed ogni chiave esisteva per la sua serratura. Essi erano generati dal Cuore dei Mondi, un’entità che ben pochi maestri anziani avrebbero saputo comprendere e spiegare; grazie al loro potere i Custodi eletti potevano attraversare i limiti fisici dello spazio e del tempo, aprire la serratura e raggiungere quel luogo indefinito che era il Cuore dei Mondi, un posto pieno di energia e misteri che erano votati a rispettare e proteggere. Ma il Cuore dei Mondi, pur spalancandosi solo per i Custodi, era un’entità ben conosciuta anche agli alchimisti, che chiamavano la sua serratura “Il Portale dell’Alchimia”: lo aveva imparato da giovane, quando Xehanort era giunto a Radiant Garden per la sua tesi di alchimista di stato e gli aveva spiegato come l’origine delle loro conoscenze fosse in realtà molto simile, e la volta che si erano recati insieme nel Cuore dei Mondi il suo amico gli aveva mostrato come in esso fossero valide soltanto regole alchemiche. L’unica differenza era che i Custodi potevano entrare nel Portale a loro piacimento, mentre per gli alchimisti restava un’entità da guardare con rispetto e adorazione da lontano. “Tutto quello che devi fare è seguire le mie istruzioni”. “Conosco le regole base dell’alchimia, amico. Per avere qualcosa devi darne una in cambio dello stesso valore, lo dici sempre anche tu. Cosa pensi di offrire per la vita del mio apprendista?” “Ho la presunzione di credere il Keyblade possa superare le regole dello scambio equivalente: voi Custodi siete i favoriti del Portale, forse a voi concederà quello che agli alchimisti nega”. “È quel forse che non mi piace” “So quello che stai pensando” appoggiò il libro su una mensola, con aria grave “Sora non subirà alcun danno. Se qualcosa dovesse andare storto il danno si ritorcerà su di me o su di te”. “Solo su di me. È stata colpa mia”. Con il cuore colmo di dubbi seguì Xehanort intorno al cerchio, osservando il corpo ancora immobile di Ven ed il piccolo mucchietto di polveri e sali che il suo amico aveva adagiato al suo fianco; lungo il disegno si formava un’area libera di forma rotonda, e fece sedere Sora lì dentro. Il bambino non aveva aperto bocca dall’inizio del viaggio, ed annuì con fare preoccupato quando gli lasciò la mano per accomodarsi nel luogo prescelto. Eraqus attraversò il perimetro del disegno e si portò al diametro opposto del cerchio rispetto al punto in cui si inginocchiò Xehanort, osservando l’altro offriva un’ultima, scrupolosa occhiata ai suoi testi. Non era affatto sicuro di quello che stavano per fare. “Qualsiasi cosa accada, Eraqus, non fare di testa tua. Segui sempre le mie istruzioni”. Stava per rispondergli quando l’alchimista si inginocchiò a terra, ed appoggiò le mani al cerchio. La luce lo investì, colpì i suoi occhi e per diversi secondi tutto il mondo divenne una grande chiazza bianca e fredda. Non vi era nessun suono, persino il suo stesso respiro era diventato un soffio, ed il cerchio, Xehanort, Sora e Ven sembravano svaniti, dissolti in quel mare bianchissimo. Poi lo vide. Si formò a diversi metri di distanza da lui, come se il candore stesso di quel luogo si fosse lentamente dissolto per cedergli il passo, una grande figura nera che sembrava alta quanto un palazzo e che prendeva sostanza ad ogni attimo. Si ritrovò con il Keyblade in mano, senza sapere il perché. Dunque quello era il Portale, l’accesso al Cuore dei Mondi in cui lui si era sempre trasportato direttamente grazie al potere della sua arma; gli alchimisti potevano procedere solo fino a quel punto, per poi trovare la grande porta oscura serrata. Il rispetto per quell’entità così maestosa ed inspiegabile lo stava spingendo ad inginocchiarsi, ma trattenne le gambe quando si accorse di Sora, apparso al suo fianco come per incanto con i suoi grandi occhi blu spalancati per il terrore. Gli si mise accanto, cercando con tutta la poca autorità che aveva di conferirgli un po’ di coraggio; poi udì, prima flebile e poi sempre più vicina, la voce di Xehanort: “Lo vedi, Eraqus?” “Sì. Il Portale dell’Alchimia”. “Si è aperto?” “No”. A differenza del suo giovane apprendista, Xehanort non era visibile da nessuna parte, e le sue parole sembravano venire da un mondo distante, anche se fino a qualche attimo prima erano insieme nella stessa stanza “Perché, dovrebbe?” “Avrebbe dovuto. Comunque, aprilo con il tuo Keyblade”. Eraqus osservò la sua lunga arma grigia, lanciò un ultimo sguardo preoccupato a Sora e la puntò verso il Portale, e la luce che ne uscì quasi svanì in quel bianco innaturale; sentì di nuovo la grande energia nascosta dietro quelle ante intarsiate, la stessa energia che univa l’arma alla sua anima, quella che gli riempiva il corpo quando si trovava all’interno del Cuore dei Mondi. Il Keyblade era la chiave del Portale ma quello non rispose, lasciando che il suo potere si dissipasse lungo l’ingresso, come se quella grande entità non volesse essere disturbata in alcun modo. “Coraggio, Eraqus, forzalo!” Forzare il Cuore dei Mondi? Non era questo ciò che gli aveva insegnato il Maestro Yen Sid, non era questo il compito di un Custode, anzi! Il suo Keyblade derivava dal Cuore dei Mondi, gli era stato affidato per mantenere l’equilibrio e non per … “Eraqus, diamine, vuoi rovinare tutto?” L’immagine del corpo di Ventus disteso al centro del cerchio fugò i suoi dubbi. Cuore dei Mondi, perdonami. Avanzò davanti all’entità oscura e premette il Keyblade lungo la sua superficie con tutta la forza che aveva in corpo, lasciando che la sua anima e l’arma fossero un tutt’uno, un solo grande potere che si abbatté sulla serratura e spinse, corse, si agitò alla ricerca di uno spiraglio, sormontando la difesa passiva del Portale e sentendo di star facendo la cosa più sbagliata della sua vita. E, quando si aprì, vide gli occhi. Lo odiavano. Lo scrutavano. Lo accusavano. Decine di occhi senza faccia dai mille colori girarono i loro globi verso di lui, investendolo con le loro pupille, come a scrutare oltre la sua carne, fin dentro l’anima, vividi. Eraqus era quasi ipnotizzato, e si accorse che i suoi piedi si erano mossi in avanti di qualche passo, attratti da quel mistero. Il primo tentacolo schizzò accanto alla sua testa, mentre il secondo passò tra le gambe, lacerandogli la tunica; le formazioni oscure saettarono in tutto il suo campo visivo, formandosi dalla stessa nube di oscurità che separava i misteriosi occhi che lentamente volgevano le loro pupille altrove come guidando i tentacoli. Sollevò il Keyblade per difendersi, ma questi gli passarono accanto e si accanirono oltre le sue spalle, e con orrore Eraqus si accorse che il loro bersaglio non era lui. “Maestro, aiuto!” Il suo fendente passò attraverso il tentacolo, come se il Keyblade fosse fatto d’aria e luce; abbatté un secondo colpo verso il centro del Portale, mirando ad un occhio più grande degli altri, ma gli sembrò di colpire soltanto il vuoto. Sora, avvolto da quelle propaggini nere, fu trascinato in pochi istanti verso il Portale, e quando provò a seguirlo i battenti si chiusero davanti a lui. Il ritorno fu più duro del previsto: si ritrovò disteso sul pavimento del laboratorio, e sotto di lui le linee del cerchio alchemico bruciavano come fossero di fuoco, illuminate di rosso; il mondo bianco, il portale, gli occhi ed i tentacoli sembrarono risucchiati davanti ai suoi occhi fino a ridursi ad una scia luminosa, ed a pochi metri da lui Xehanort si rialzò a fatica. Si rimise in piedi di scatto, con un unico pensiero nella mente: “Sora! Sora!” Il bambino era accasciato nel punto dove lo aveva lasciato, e per un attimo temette il peggio: tirò un sospiro di sollievo quando appoggiò la mano al collo e sentì un battito debole ma regolare. Il suo amico si avvicinò, ed osservò Sora con attenzione “Il Portale ha preso lui?” “Sì” sospirò “Non avevi detto che non ci sarebbero state conseguenze?” “Il ragazzo è intatto, per quanto ancora non riesca a crederci … evidentemente le mie teorie si sono dimostrate valide, con il Keyblade è possibile scavalcare la regola dello scambio equivalente”. “Il Cuore dei Mondi ha opposto resistenza, Xehanort. Ho fatto qualcosa di vietato a qualsiasi Custode!” “Oh, ma io credo che ne sia valsa la pena …” I suoi occhi andarono al centro del cerchio ed incontrarono quelli azzurri di Ven, che si era sollevato ed osservava il laboratorio del tutto spaesato, con indosso ancora gli stessi abiti di quando il fiume lo aveva inghiottito. Al cuore di Eraqus mancò un battito, e per qualche istante rimase senza parole, fissando il ragazzo ritornato dalla morte per poi guardare Xehanort una seconda volta, cercando le parole migliori per esprimere quello che pensava “Amico mio, io … scusami se ho dubitato, scusami se … dimmi un modo per sdebitarmi e giuro, giuro su tutto quello che ho prezioso che lo farò!” L’altro sorrise “L’ho fatto per te e per loro, Eraqus … ed anche per una mia curiosità. Però, se proprio intendi sdebitarti … forse un’idea ce l’avrei …” Fu in quel momento che vide il blob.
Il ricordo dell’incidente ancora lo faceva tremare, e si allontanò dal fiume, ritornando lungo il sentiero. Ripensò alla creatura alchemica che era nata dalla trasmutazione umana di Ven, e al modo in cui Xehanort aveva trascorso i mesi successivi nella spasmodica ricerca di plasmarlo a forma umana, coinvolgendo lui ed il suo Keyblade. Era stato grato al suo amico e lo era anche in quel momento, ma sapeva che i suoi esperimenti finivano per accecarlo, impedendogli di vedere il labile confine tra ciò che era permesso agli uomini e ciò che non lo era. Gli ci era voluta una grande forza di persuasione e di amicizia per mostrargli cosa fosse davvero la sua nuova creatura …
“È un abominio!” tuonò, stringendosi il ginocchio destro con entrambe le mani per diminuire la perdita di sangue. Il blob aveva ancora la stessa viscida, molle e scura forma del giorno della sua creazione, e le decine di esperimenti di quei mesi non avevano portato a nessun risultato. Xehanort blaterò qualcosa di inconcepibile, e tra un’imprecazione e l’altra si mise a fatica in piedi: l’ala ovest del suo laboratorio era totalmente franata, e se non fosse stato per i blocchi gravitazionali isolanti avrebbe coinvolto buona parte dell’edificio sopra di loro. Il suo sguardo era furibondo, e fissò prima le rovine della su libreria e poi il cerchio alchemico sperimentale come se avesse voluto incenerirli. “Xehanort, adesso basta! Questo esperimento poteva costare la vita a tutti e due!” “Ma ho capito cosa è andato storto! Se solo …” “Xehanort …” gli venne vicino, aiutandolo ad alzarsi “… considerami fuori da questa storia!” Il suo amico si voltò, e negli occhi gialli c’era dipinta una grande varietà di emozioni, ma lo anticipò prima che potesse controbattere “So che devo sdebitarmi con te, dopo quello che hai fatto per Ven e Sora. E so quello che provi per questa ricerca, capisco che per te sia importante ma … così non va. Sei ossessionato da quella cosa, resti chiuso in questo laboratorio per settimane e te ne esci con esperimenti sempre più pericolosi …” “Ma …” “No. Sono dei giorni che ci penso su, e ogni istante che passa mi convinco che quella creatura è pericolosa, Xehanort, è il frutto di un peccato contro il Cuore dei Mondi e ti sta consumando nell’ossessione di creare uno di quei mostri che tu chiami homunculus. Ma la pura verità è che quella creatura non dovrebbe esistere, è un abominio!” “Un abominio? Pff …” l’altro gli diede le spalle, e con il suo passo traballante si avvicinò al blob, che si ricompose, si agitò e poi si spostò sul pavimento fino a raggiungere i piedi dell’alchimista, per poi farsi sollevare in braccio appoggiando le sue propaggini viscide al lungo pastrano bianco “Io lo definirei un nucleo di infinite possibilità”. “Smettila di dire insensatezze! Dobbiamo distruggerlo!” “COSA?” Di riflesso Eraqus sguainò il Keyblade. L’abominio in quei mesi aveva dato prova di comprendere perfettamente il linguaggio umano, infatti scivolò subito dalle braccia dell’alchimista e si mosse sul pavimento in frantumi verso un ammasso di macerie dietro cui nascondersi. Stava per caricarlo, trafiggerlo e rimandarlo al Cuore dei Mondi quando il suo amico agitò le dita e si trovò davanti una barriera di ghiaccio “Mi dispiace, Eraqus, ma non ti farò toccare il frutto della mia più grande ricerca!” “Questa ricerca ti sta portando alla dannazione!” “No, mi sta portando alla gloria!” Non aveva mai visto quella luce negli occhi dell’alchimista, non così intensa e preoccupante; sapeva che non sarebbe stato semplice, ma Xehanort era il suo migliore amico e non gli avrebbe permesso di inoltrarsi verso l’Oscurità, anche a costo di farlo ragionare con le maniere pesanti. Ma era certo che distruggendo quel blob lo avrebbe spinto a rassegnarsi, a sviare le sue ricerche verso un percorso meno peccaminoso e pericoloso “Amico mio, so come ti senti. So che tieni alla tua ricerca più di qualsiasi altra cosa. Ma io tengo a te ed alla tua anima, e se per salvarti dovessi mandare all’aria questo esperimento, tutti i tuoi laboratori e questo posto … lo farò” “NON OSARE, ERAQUS!” Lo barriera di ghiaccio aumentò in spessore, e riuscì a notare l’immagine distorta del blob che raggiungeva il suo nascondiglio, appiattendosi tra le rovine del laboratorio e scivolando tra i calcinacci e ciò che restava dell’impalcatura di duracciaio “Io oso eccome, Xehanort. Sei mio amico. Fidati di me”. In quel momento si sarebbe aspettato qualsiasi reazione da parte sua; si mise in guardia, temendo il peggio, perché sapeva che per l’altro nulla era più importante dei suoi studi. E soprattutto era un inguaribile testardo. Proprio come lui. Tanti anni prima, quando erano due ventenni spavaldi, quei secondi preliminari alla battaglia non ci sarebbero mai stati: si sarebbero lanciati uno contro l’altro in una di quelle sane scazzottate che ti facevano sentire vivo (specie quando erano condite dalle punizioni del Maestro Yen Sid), Keyblade contro incantesimi e cerchi alchemici. Ma gli anni erano passati, e troppo in fretta per il suo amico: se avessero davvero deciso di scontrarsi sul serio Eraqus sapeva che lo avrebbe ferito. Per l’alchimista i tempi degli scontri fisici erano finiti, e l’ultima cosa che desiderava era … “Va bene, Eraqus”. Aveva sentito bene? La barriera di ghiaccio si fece sempre più sottile, per poi sciogliersi in piccole pozze. Il volto di Xehanort, da scuro ed offeso si era fatto più mite, pur non nascondendo l’insoddisfazione; diede un calcio a quello che rimaneva di un voluminoso tomo rilegato in pelle “Facciamo a modo tuo”. “Xehanort …” “In effetti hai ragione, questa ricerca mi sta davvero facendo perdere la testa. E poi … su queste cose hai sempre avuto più giudizio di me. Sei il mio migliore amico e … mi fido”. Fu come essersi liberato di un peso enorme dal cuore, non avrebbe mai, mai sperato di riuscire a convincerlo così rapidamente, non quando doveva mettere in discussione una sua ricerca. La creatura doveva aver fiutato il problema, perché rimase nascosta; strinse la spalla del suo amico e si accorse che non era l’unico ad essere rimasto ferito nell’esplosione “Eraqus, di quel blob me ne occuperò di persona; lo disgregherò nelle sue unità principali e mi libererò di quest’ossessione con le mie mani. Ma dopo …” si sfilò il pastrano e guardò con disappunto la parte inferiore, rovinata in modo indiscutibile. Si trascinò con tutta la spalla ferita verso l’ascensore “ … adesso ho bisogno di un caffè. Bello forte. Anche due”.
Quella era stata l’unica volta in cui aveva litigato con Xehanort, ed anche l’unica in cui era riuscito a fargli cambiare idea. Ma il ricordo degli avvenimenti all’ingresso del Cuore dei Mondi continuava a bruciare, nascondeva di continuo quel ricordo, vergognandosi di quel crimine contro l’entità che gli aveva offerto il Keyblade e gli aveva affidato la sua intima esistenza. Il suo amico gli aveva proposto una seconda trasmutazione umana dopo la morte di Sora per mano dei demoni, ed aveva resistito con tutte le sue forze alla terribile tentazione di accettare quel patto diabolico una seconda volta. Né avrebbe permesso ad altri studenti di seguire le sue orme. Di peccatori contro il Cuore dei Mondi ne bastava uno solo. Era ormai l’alba quando rientrò nel Tempio, e fu colpito dalla sensazione di colpevolezza che lo accompagnava tutte le volte che passava davanti alla statua ed alla fontana a mani vuote, senza nemmeno un secchio. O forse era la sensazione di aver sbagliato tutto, di non essere un vero Maestro del Keyblade, di essere precipitato in un baratro di scelte sbagliate a cui si accumulavano i mille dubbi di quei giorni; l’ologramma era ancora muto, ed il pensiero di Terra tornò violentemente ai suoi occhi. Si chiese cosa avrebbe fatto l’uomo dalla barba grigia al suo posto. Sarebbe andato a prenderlo, lo avrebbe preso a colpi di manico di scopa di santa ragione e avrebbe immerso la sua testa nella fontana gelida fino a farlo ragionare. Pensò, ricordando diverse scene della sua giovinezza. Ma prima sarebbe andato a riprenderlo. Fosse anche stato in un vicolo buio di Pharen o in capo al mondo.
Gli oligarchi di Autozam avevano messo a disposizione di Terra un lussuoso appartamento in cima a un grattacielo nel centro governativo. Evidentemente volevano tenerselo vicino: per controllarlo forse, o per potersi servire di lui nel momento del bisogno. Data la massiccia presenza di soldati armati su tutti i piani, la prima ipotesi pareva più probabile. In teoria Aqua non sarebbe dovuta essere lì. I soldati a guardia dell'ascensore la squadrarono con lieve sospetto, ma si rassicurarono immediatamente alla vista del badge lasciapassare che le pendeva dal collo, e nessuno la ostacolò. Se non fosse stato per Eagle non sarei entrata neanche tra un milione di anni. Aqua era cosciente di non essere stata del tutto onesta con lui. Sapeva di avere un certo ascendente sull'ex compagno di addestramento: ai tempi in cui erano allievi insieme lui l'aveva invitata a uscire più di una volta, e se per Aqua si era sempre trattato di niente più che piacevoli cene tra amici, i sentimenti di Eagle erano ben diversi. Negli ultimi tempi, prima che lui tornasse a Autozam per assolvere al servizio militare, aveva rifiutato i suoi inviti con sempre maggior frequenza, temendo di illuderlo troppo. Stavolta invece lo aveva supplicato senza vergogna, dando fondo a tutta la sua capacità di persuasione. Aveva capito subito che le stava nascondendo qualcosa, qualcosa di cui invece avrebbe avuto una gran voglia di parlare. Qualcosa che riempiva i suoi occhi di dolore e vergogna, che gli impediva di incontrare direttamente il suo sguardo e che lo riempiva di imbarazzo ogni volta che doveva rivolgerle la parola. Allora era partita all'attacco. Alla fine Eagle aveva ceduto alle sue preghiere e le aveva rivelato che Terra si trovava a Autozam, sotto la protezione del governo. Un segreto di stato che non avrebbe mai dovuto far trapelare. Aqua gli aveva promesso il silenzio in cambio della possibilità di incontrarlo. Perché le sarebbe bastato vederlo solo un attimo per sapere che andava tutto bene, che le accuse dei demoni erano infondate, che lo avevano confuso con qualcun altro, che era tutto un grosso, terribile, increscioso malinteso... Perdonami, Eagle. Io devo sapere. Suonò alla porta dell'appartamento, ignorando i soldati che circolavano sul pianerottolo, e attese con il cuore in gola. Fu lui in persona ad aprirle. Sembrava stanco, con gli occhi cerchiati e una giacca ancora addosso, come se fosse rientrato in casa in quel momento. Aqua gli gettò le braccia al collo senza lasciargli il tempo di parlare, nascondendo il viso nell'incavo della sua spalla. Con un brivido di piacere e di sollievo sentì che Terra ricambiava la sua stretta, forte, rassicurante e protettivo come sempre. Come potevano pensare che fosse stato lui? “Aqua... che ci fai qui?” La fece entrare in casa, mentre la porta alle loro spalle si richiudeva automaticamente senza emettere nemmeno un sibilo. Lo guardò. Era bellissimo come sempre, solo un po' più provato del solito, come se qualche pensiero gravoso lo tormentasse. Ovvio del resto, con quelle accuse terribili che pendevano sul suo capo. Chiunque al suo posto sarebbe stato in ansia. “Ero preoccupata per te... a Radiant Garden è esploso il caos, ho sentito poche ore fa il Maestro Eraqus! Il consorte del Grande Satana era furioso... il Maestro e Re Ansem sono riusciti a convincerlo che l'Ordine dei Custodi non c'entra nulla in questa storia, ma ti hanno comunque dichiarato ricercato! Il che è assurdo! Devi farti avanti e dire loro che...” Già a metà del discorso si era resa conto che qualcosa non andava. Lo sguardo di Terra, i suoi splendidi occhi blu erano... strani. Insolitamente cupi. Ed evitavano il contatto con i suoi. La verità si fece strada dentro di lei come un pezzo di ghiaccio che qualcuno le avesse fatto ingoiare a forza. “Terra... dimmi che è tutto falso. Ti prego dimmelo. Ti supplico.” “Ho fatto giustizia, Aqua. Per tutti gli innocenti massacrati alla villa di Pegasus. Per le vittime nelle strade. Per Sora.” Aqua non cercò nemmeno di fermare le lacrime. Non poteva essere vero. Non lui, non Terra, non il suo Terra, il forte e generoso Terra, colui che tutti gli allievi più giovani consideravano un fratello maggiore, che il Maestro adorava come un figlio, che Ventus venerava come un eroe. Non il Terra che lei amava. Aprì la bocca per parlare, ma non riuscì a dire nulla. La voce le era rimasta paralizzata sul fondo della gola. Come in un incubo. “Il Grande Satana stava coprendo quel criminale del suo ambasciatore. O addirittura lui stava agendo su suo ordine. E nessuno avrebbe fiatato, saremmo stati in silenzio e a capo chino a guardarli calpestare la dignità delle nostre vittime. Perché i demoni credono di essere superiori alle leggi e alla morale solo perché hanno il potere. Ebbene, non sono gli unici. Anch'io ho un potere prezioso, quell'oscurità che il nostro Maestro disprezza tanto. Non potevo restare a guardare. Da grandi poteri derivano grandi responsabilità: non usare le mie capacità per difendere i deboli, quello sarebbe stato davvero un crimine grave.” “Ma... l'hai uccisa a sangue freddo!” ogni parola che pronunciava era una stilettata conficcata nel suo petto. “Dov'è la giustizia in un'esecuzione così brutale? Ci sono i politici e i diplomatici per...” “I diplomatici?! Sbaglio o sono stati i diplomatici dei demoni ad assassinare bambini innocenti con il beneplacito della loro sovrana?” “Ma non ci sono prove certe che l'ambasciatore Pai abbia...” “E CHI ALTRO VUOI CHE SIA STATO?!” Aqua fece un balzo all'indietro per l'improvvisa violenza di quelle parole. Terra ora era furioso, come lo aveva visto solo in rarissime occasioni. Le faceva paura. Come in un incubo. “Hai visto quel demone, hai viaggiato con lui! Come puoi difenderlo?! Uno come lui darebbe uno dei suoi tre cuori per vedere tutti noi umani cancellati dalla faccia di Cephiro. E gli altri della sua razza non sono da meno. Sono un popolo barbaro, che crede solo nella legge del più forte.” “E non è lo stesso che stai facendo tu? Non ti sei forse arrogato un diritto che non ti spettava?” L'osservazione sembrò aprire una breccia nella furia di Terra. Il ragazzo aprì un paio di volte la bocca a vuoto, e la sua rabbia parve cedere il posto all'incertezza. “Io... è diverso!” protestò infine, i pugni stretti per la frustrazione. “Io uso il mio potere per difendere gli innocenti! Non per me stesso!” “Noi Custodi non abbiamo il diritto di decidere chi deve vivere e chi deve morire.” “Se non noi, allora chi lo farà?” Nel silenzio che seguì ad Aqua parve di sentire il proprio cuore inghiottito da quella stessa oscurità che ora riempiva i discorsi di Terra. Una parte di lei ancora sperava di riaprire gli occhi e scoprire che era stato tutto soltanto un incubo. “Terra... questo...questo non sei tu.” “No, Aqua.” ora non c'erano rabbia o risentimento negli occhi di Terra. Lo sguardo che le lanciò era pieno di tristezza. Ma anche determinazione, quella forza inossidabile che in passato lo spingeva a rinunciare a cibo e sonno per proseguire negli allenamenti a qualunque costo. Aqua lo ricordava bene. “Credo di non essere mai stato davvero me stesso come ora.” Aqua scosse la testa con energia: “Puoi ancora...” No.” Terra soffocò la sua obiezione con un gesto deciso del braccio. “Ho fatto la mia scelta, Aqua. Questo è il cammino che voglio intraprendere. Difenderò Cephiro a modo mio.” “Odiando i demoni in questo modo difenderai solo una parte di Cephiro.” “Esatto. Solo la parte buona. Ed estirperò quella marcia fino a che questo mondo non diventerà un posto migliore.” Le lacrime continuavano a scorrere senza sosta sul viso di Aqua. Con una stretta gentile ma ferma Terra la prese per una spalla e la condusse alla porta. “Ora è meglio che tu vada. Non sei autorizzata a stare qui, vattene prima che qualcuno se ne accorga.” Terra premette un pulsante sul muro e la porta si aprì silenziosamente. Aqua si voltò e lo prese per le braccia, cercando nuovamente di abbracciarlo, di stringerlo a sé. Non voleva lasciarlo andare. Sentiva che se lo avesse fatto lo avrebbe perso per sempre. Non voleva. Non voleva a nessun costo. Ma lui fece un passo indietro, divincolandosi dalla sua stretta. “Ti chiedo solo una cosa: combatti anche tu per proteggere Cephiro. A modo tuo, come credi sia giusto. Ma non restare immobile a guardare mentre gli eventi precipitano, Aqua.” “Terra...” La porta iniziò a richiudersi. Attraverso il velo di lacrime che le appannava gli occhi Aqua vide per l'ultima volta il viso di Terra, e le parve che le stesse sorridendo con tristezza. Poi di fronte a lei ci fu solo una fredda parete grigia. Ma non era solo una barriera d'acciaio a dividerli ormai. Terra aveva varcato la soglia verso un mondo in cui Aqua non poteva più seguirlo. Lo aveva perso.
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Complimenti a chi e' arrivato fino qui e speriamo vi abbia interessato! Alla prossima!! |
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