Mega post con i Descendants (alcuni), con contaminazione di OUAT, almeno in uno.
I - Benjamin
-Mamma, mi racconti una storia?- Prima di addormentarsi, Benjamin amava farsi leggere le storie da sua madre. Era una passione che Belle gli aveva trasmesso fin dall'infanzia. -Va bene, tesoro.- diceva lei con il suo sorriso dolce -Quale preferisci?- -Quella dell'uomo con il cappotto nero che voleva fare del male a papà.- Per quanto eroici e coraggiosi fossero gli eroi dei libri, nessuno poteva eguagliare il suo idolo: Sora. Quelle su di lui, erano le sue preferite. -Il nostro mondo era stato ripristinato da poco...- iniziava Belle, una volta rimboccate le coperte al figlio e sedutasi sul copriletto -Ma non era passato molto tempo prima che tuo padre si comportasse in modo strano. Allontanava tutti, me compresa. E, soprattutto, era costantemente ossessionato dalla rosa magica che teneva sotto vetro, più del solito. L'arrivo di Sora nel castello fu provvidenziale. Senza di lui, non avremmo mai scoperto la vera causa del suo stato d'animo. Sora liberò tuo padre dalla gabbia che l'uomo di nome Xaldin aveva costruito intorno a lui, combattendo coraggiosamente al suo fianco.- L'ammirazione che Benjamin aveva per Sora era paragonabile alla sua passione per i libri. Molte volte, però, non gli veniva presentato come uno degli eroi dei libri della madre: sapeva che era un ragazzo goffo, buffo, talvolta agiva senza avere una chiara strategia, ma a Benjamin non importava. Era coraggioso, onesto, retto, non si fermava di fronte a nulla, e aveva a cuore le persone a lui care. Per questo lo ammirava, oltre per aver salvato i suoi genitori dall'Oscurità. Nessuno lo avrebbe convinto del contrario. Né da bambino, né da adolescente.
II - Mal
Mal non conosceva altri mondi al di fuori delle mura della sua stanza. L'unica visuale sul mondo esterno era la finestra che dava sulle nubi che circondavano la Montagna Proibita. Era impossibile definire il numero di mondi che Mal immaginava nascosti sotto quelle nubi oscure: unicorni, regni in cui le abitazioni e gli abitanti erano fatti di caramelle, o che i veri abitanti di quel mondo fossero come i soldati che sorvegliavano il castello e lei e sua madre fossero le uniche umane, addirittura che quella nube fosse un veleno che avesse ucciso le persone e lei, sua madre e tutti i soldati fossero gli ultimi sopravvissuti, scappando in tempo sulla Montagna Proibita, e tante altre cose. Malefica, però, non lasciava mai uscire la figlia, se non una volta alla settimana, ma solo fino al cortile del castello. In quei giorni, cercava sempre di superare la soglia, ma, appena faceva un passo fuori dal confine, Diablo iniziava a gracchiare a gran voce o Pietro la prendeva per la collottola e la riportava nella sua stanza. In entrambi i casi, sua madre la rimandava nella sua stanza, senza pasti. Questa era stata la vita di Mal, prima di Auradon: rinchiusa nella sua stessa casa. No, non era una “casa”. Era una prigione. Aveva cercato di renderla più gradevole, disegnando sui muri i mondi che immaginava, ma non era abbastanza. Lei voleva vedere di più.
III – Chad
Non importava se gli occhi erano aperti o chiusi: Chad non vedeva nulla. -Gira gira! Chissà se mi troverai!- Insieme alle risate di Jeffy, la canzoncina di Andre era l'unica cosa che sentiva. Era sempre così, ogni volta che giocavano a nascondino. Uno veniva bendato e fatto girare su se stesso. -Basta! Mi gira la testa!- implorò, ridendo, nonostante tutto. Augusta, figlia del topolino Gus-Gus, dovette trattenersi dal non vomitare nella tasca del principino. Jean, figlio dei topolini Jacques e Marie, le teneva la testa e le copriva la bocca, proprio per prevenire quella possibilità. Per fortuna, quella tortura finì, almeno per la povera Augusta. Ma per Chad era appena iniziata: sapeva che i due cugini si erano nascosti. E lui era bendato. Era più difficile scovarli. Ma, ciononostante, lui rideva. Gli importava solo stare in loro compagnia, che si trattasse di un pic nic, un bagno in fiume, assaggiare il pane appena sfornato del padre di Andre, qualunque cosa. Aveva con loro un rapporto che sua madre Cenerentola non aveva mai avuto con le sue sorellastre Genoveffa ed Anastasia, le rispettive madri di Jeffy e Andre. La vita era perfetta. Niente avrebbe turbato quella vita così luminosa. Tranne l'Oscurità stessa.
IV – Evie
-Bene, ora gira la ciocca.- I capelli della bambina erano neri, lunghi e fluenti, come un mare nero. E molto morbidi. -Ora metti il fiore qui e fermalo con la forcina.- Biancaneve fece quanto suggerito dalla sua balia Johanna. I capelli di Evie erano sempre stati belli, ma con quei bucaneve erano ancora più sublimi. Aprì, infatti, la bocca dallo stupore, appena si vide allo specchio. -Neve! Sono... sono bellissimi!- Biancaneve abbracciò la sorellina dalle spalle. -No, tu sei bellissima.- Evie ricambiò l'abbraccio. -Mai quanto te, Neve. Spero di diventare bella come te, da grande.- Johanna guardava le due bambine con orgoglio: Biancaneve ed Evie non erano davvero sorelle, ma sorellastre; tuttavia, Biancaneve era molto dolce con la figlia della sua matrigna cattiva, come fosse davvero la sua sorellina. Evie non era come sua madre; oltretutto amava passare il tempo con Biancaneve, soprattutto quando giocavano con le bambole. Ma era con Johanna che si divertivano davvero: la vecchia balia era come una nonna, per le due principesse. Sarebbe stata una figura chiave per entrambe, per le scelte che avrebbero compiuto nella vita. Ma ancora non lo sapevano. -No, bambine mie.- disse, orgogliosa -Siete entrambe le più belle del reame.- Nessuna di loro aveva sentito i passi della regina farsi sempre più forti. Meno che mai aspettarsi che aprisse la porta con una tale forza che qualcuno avrebbe creduto impensabile per una donna della sua corporatura. -Non dire mai più cose simili, Johanna!- tuonò, furiosa. La balia abbassò la testa, per rispetto. Le due principesse si misero in piedi, separandosi. Grimilde odiava vederle insieme, specialmente in atteggiamenti affettuosi. -E tu cosa fai qui? Ti avevo proibito categoricamente di avvicinarti a mia figlia.- disse, rivolta a Biancaneve -Vai immediatamente a svolgere i tuoi doveri! Svelta!- -Sì, Maestà...- Un tempo, a Biancaneve era permesso di chiamare Grimilde per nome. Ma dalla nascita della figlia e dalla morte del marito, il re padre di Biancaneve, si era eretto un muro spesso tra matrigna e figliastra. -E tu...- La sua attenzione fu rivolta alla bambina, che aveva osservato con tristezza Biancaneve allontanarsi da lei. -Cosa ti ho detto sul frequentare la servitù?- -Ma Neve non è...!- -Non osare rispondermi!- tagliò corto Grimilde, severa -Guai a voi due, se vi rivedo insieme! Se la vedo di nuovo toccarti, te ne faccio pentire! E tu, Johanna, devi essere la sola ad occuparti di mia figlia. Ora falle mettere qualcosa di decente e toglile quegli orrori dai capelli! La voglio nella sala del trono subito.- -Sì, Vostra Maestà.- La vita di Evie era triste e vuota senza Biancaneve. Inutile fu il tentativo di convincere sua madre a rendere Biancaneve la sua serva personale, per averla sempre accanto. Ma, per Grimilde, Johanna era più che sufficiente per badare alla figlia. Non voleva farla influenzare dalla figliastra. Era anche per tenerla lontana da lei che aveva ridotto Biancaneve ad una serva nel suo stesso castello.
V – Carlos
A Londra stava nevicando. Il freddo diventava insopportabile, soprattutto per coloro che non avevano un riparo. Ma era il periodo natalizio. I negozi erano chiusi. -Bravo, figliolo, tieni il grimaldello così. Ora applica un po' di pressione con l'altro e spingi verso l'alto.- Carlos si era dimostrato abile nello scassinare le serrature. O Gaspare ed Orazio erano stati dei bravi insegnanti, o era un talento naturale. -Gaspare, non mi piace. E se una pattuglia si scopre?- -Zitto, idiota!- esclamò Gaspare, distogliendo l'attenzione dal figlio della loro cliente, l'ereditiera Crudelia De Mon -Ho pensato al minimo dettaglio. Il ragazzo ha aperto la porta in un secondo, ora noi entriamo, prendiamo quello che ci serve e andiamo via, chiaro?- Come in ogni colpo, il ragazzo scassinava e faceva da palo, i due uomini rubavano. La terza rapina in un negozio di animali in un mese, soprattutto canili. Carlos soffriva ogni volta che sentiva i guaiti dei cuccioli dentro le sacche di iuta in cui i Badun li ammassavano. Se fosse stato grande e più forte, avrebbe messo lui i Badun nei sacchi. La neve impediva la visuale, mentre tornavano nella vecchia villa di campagna dei De Mon. Gaspare ed Orazio erano sempre contenti alla fine di ogni colpo. Carlos, compresso tra i due uomini, non riusciva a sorridere. Quello che facevano era orribile: rapire animali per fare delle pellicce per Crudelia De Mon. Varie volte voleva di ribellarsi a questo lato folle della madre, ma gli mancava sempre il coraggio. Improvvisamente, sgranò gli occhi. -ATTENTO, GASPARE! C'È UN CANE!- C'era qualcosa, in effetti, nella strada. E aveva attraversato veloce la carreggiata. La macchina non lo aveva preso, ma la frenata la fece derapare, girando più volte su se stessa. -MA CHE TI È PRESO, RAGAZZO?!- tuonò Gaspare, mentre Orazio tratteneva a stento i conati -POTEVI UCCIDERCI TUTTI!- Ma Carlos era divenuto sordo: scavalcò la grossa mole di Orazio, camminandogli sullo stomaco, per uscire dalla macchina. Aveva visto qualcosa. Ne era sicuro. Si era avvicinato al bordo della strada, abbassandosi. -Su, bello, vieni fuori...- disse, con tono dolce e rassicurante. Nell'ombra, notò due piccoli fari e dei piccoli guaiti. I due piccoli fari erano due occhi ed appartenevano ad un cucciolo meticcio dal pelo color miele. Annusò la mano del ragazzino e accettò di farsi accarezzare. Persino i due ladri uscirono dalla macchina. Fu soprattutto Gaspare a sorridere del cagnolino che si era accoccolato tra le braccia di Carlos. -Bravo, figliolo...- sibilò, allungando una mano verso il cane -Lo mettiamo subito con gli altri.- Ma Carlos non era della sua opinione: si voltò da un lato, facendo da scudo al cucciolo. -No! Lui è mio!- Gaspare aprì la bocca, quasi sorpreso. Orazio, invece, serrò le labbra e mise le mani sui fianchi. -Bambino cattivo!- brontolò -Non si parla così con gli adulti! Lo diciamo alla tua mamma!- Quello fu il primo incontro tra Carlos ed il cane che sarebbe divenuto presto il suo migliore amico. Quell'incontro avrebbe cambiato la vita di entrambi.
VI - Jay
L'unica nota positiva di essere il figlio del gran visir di Agrabah era avere tutto semplicemente allungando la mano. Tranne quello che Jay davvero desiderava: la libertà di uscire dal palazzo. Era rinchiuso in una prigione dorata, con tutto quello che ogni bambino di Agrabah poteva desiderare, cibo, giocattoli, un tetto sulla testa, un letto morbido. Ma era Jay il vero invidioso dei bambini delle strade. Loro erano liberi, almeno, nessuna stupida regola da seguire. Ogni mattina, guardando fuori dalla finestra, osservava Agrabah. La guardava attraverso un binocolo dorato, grazie al quale poteva scorgere ogni singola strada. Avrebbe voluto, invece, visitarla, vedere da vicino quelle strade. Ma come figlio del gran visir, doveva conoscerne solo gli aspetti politici ed economici, come Jasmine. -Ragazzo! Occhi sul libro!- La voce di Iago era irritante per qualunque orecchio. Jay non lo aveva mai sopportato. Ogni volta che apriva il becco per parlare, doveva trattenere la tentazione di tirargli il collo. I suoi occhi potevano essere sul libro di storia di Agrabah, ma la sua mente era altrove: pensava all'Agrabah presente. Specialmente al bambino che vedeva ogni giorno sfuggire con maestria da quell'antipatico di Razoul solo per aver rubato del pane. Chissà che cosa stava facendo in quel momento, pensò. Anzi, come sarebbe sfuggito a Razoul, quel giorno? Avrebbe fatto finta di saltare dalla finestra o si sarebbe nuovamente nascosto tra le giare? Jay immaginò l'epilogo e sorrise.
VII - Harry
-Vedi di sbrigarti a pulire il ponte!- Starkey camminò proprio sopra il punto in cui Harry aveva appena pulito. Lo faceva sempre di proposito. Tanto valeva pulire con lo sputo, se la ciurma di suo padre continuava a camminare sopra. Ai gemelli Squeacky e Squirmy non andava meglio, relegati nelle cucine a lavare piatti e pentole, e, soprattutto, subire le imprecazioni e sgridate di quel pazzo del cuoco. Loro, però, erano i figli di Spugna, il nostromo della Jolly Roger, quindi era normale che il loro ruolo fosse umile, ma Harry era figlio di Uncino, il capitano della Jolly Roger, eppure era relegato al ruolo di mozzo. Non poteva nemmeno minacciare di riferire a suo padre del comportamento della ciurma nei suoi confronti. Non sarebbe servito a nulla. Anzi, dal giorno su cui era salito sulla nave, suo padre gli aveva rivolto a malapena la parola e l'attenzione. Sapeva di non essere un figlio desiderato: dopotutto, sua madre era una prostituta. Ma si aspettava almeno un contatto, anche minimo, dall'uomo che aveva scoperto essere suo padre. Sperava di trovare una famiglia, invece non faceva nulla di diverso da quello che faceva quando ancora abitava nel bordello: pulire, spazzare, strofinare. Aveva sentito storie sui pirati, una più emozionante dell'altra. Quando aveva scoperto che sarebbe salito su una nave simile, era al settimo cielo. Ma quel pensiero era svanito dal primo istante in cui gli avevano dato un secchio ed ordinato di pulire il ponte. Aveva appena finito di pulire un altro centimetro del ponte, quando sospirò con un pensiero in testa: “Voglio una famiglia... Una vera famiglia.”
VIII - Doug ed Emma
Nonostante vivessero entrambi in luoghi abitati da tante persone, Doug ed Emma si erano sempre sentiti soli. La prima volta in cui si erano incontrati erano ancora neonati. Ma erano destinati ad essere legati da un legame mistico che nessuno dei due conosceva o sapeva spiegarsi. Vivevano in due mondi, tuttavia si incontravano nel mondo dei sogni. La prima volta sembrava un sogno come altri. Loro due, in una stanza piena di giochi della loro età. E tra risate, chiacchiere, il momento del risveglio era sempre più vicino. A quel sogno ne seguirono altri. Tanti altri. Tanti quanti ogni giorno dell'anno per sedici anni. Non sembrava più una coincidenza. Ma fatto stava che Doug ed Emma si erano fatti compagnia per tutta la loro infanzia: Emma era circondata solo da bambini malvagi che non perdevano occasione di bullizzarla, e Doug era così timido da non riuscire a relazionarsi con gli altri bambini. Erano diventati l'uno l'unico amico dell'altra e viceversa.
IX - Lonnie
-Dove sono?- Mushu si era coperto gli occhi con gli artigli. La piccola Lonnie si guardava ovunque, con aria preoccupata e quasi sul punto di piangere. -Bubusettete!- Appena scoperto che il suo draghetto era lì con lei, Lonnie rideva e agitava le braccia. Da neonata pensava che fosse un pupazzetto; infatti, lo stringeva spesso a sé, rischiando di soffocarlo. Era una fortuna che Mulan intervenisse in tempo per salvarlo, o Lonnie sarebbe rimasta senza amichetto per tutta la vita. Tra la piccola ed il drago guardiano fu quasi amore a prima vista. Era sempre l'obiettivo principale, nei tempi in cui lei compiva i primi passi. Ed era sempre al suo fianco, quando imparava le prime parole. -Mushu, mi racconti del primo giorno della mamma?- Lonnie amava farsi raccontare dal draghetto il primo giorno di sua madre nell'accampamento militare in cui conobbe suo padre. La storia di Mulan era stata tramandata per tutta la Cina, ma solo Mushu conosceva la versione originale. Per questo la sua versione era la sua preferita, rispetto a quella che le raccontava sua nonna, quella che comprendeva solo i fatti superficiali e generali. In più, Mushu ci metteva più enfasi, come se stesse rivivendo quegli istanti in tempo reale. Per Mushu, in effetti, era come se fosse passato solo un giorno da quando aveva spiegato a Mulan come farsi strada nel mondo degli uomini.
X - Gil
-Gaston, quanto somigli a tuo padre! Hai il suo stesso sorriso!- -Ginette, sei così carina! Da grande sarai una bellissima fanciulla!- -Gil, mi è caduto l'arrosto per terra! Pulisci immediatamente e portamene un altro!- Solo perché non assomigliava a suo padre come Gaston II o Ginette. I clienti lo facevano apposta a buttare briciole sul pavimento. C'era solo Gil a pulire. Ginette, già da bambina, civettava con gli uomini, che la ricoprivano di complimenti per la sua bellezza e le lunghe trecce nere lucide. Gaston II era il più somigliante al padre Gaston: stesso volto, stessi capelli, stessi occhi, stesso sguardo. Praticamente la sua copia. Gil aveva preso solo la forma del mento da Gaston. Lui assomigliava di più a sua madre Laurette. Gaston II era figlio di Paulette, Ginette, invece, la figlia di Claudette. Erano sia fratelli, perché avevano avuto lo stesso padre, ma erano anche cugini, perché figli di sorelle. Ma per come veniva trattato Gil, soprattutto all'interno della famiglia, nessuno avrebbe detto che ci fossero stati gradi di parentela. Gaston II e Ginette erano riveriti poiché somiglianti al padre e lui denigrato perché non lo era. Questo portò Gil nella spirale dell'invidia. Guardava i cugini, e poi si guardava allo specchio, quasi scoppiando a piangere. Biondo, non moro, occhi marroni, non celesti, aria spenta, non sveglia. Non vedeva suo padre Gaston in sé. E nemmeno i clienti vedevano nulla di Gaston, in lui. Un emarginato, perché dei tre figli di Gaston lui era quello che gli somigliava di meno.
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